La definizione delle sorti dell’Albergo dei Poveri a Napoli si fa più vicina, grazie ai fondi del PNRR destinati. Una guida breve tra proposte emerse e avvertimenti.
Il 1 luglio 2021 si è tenuta una partecipata audizione online organizzata da Mara Carfagna, ministra per il Sud, e Dario Franceschini, ministro della Cultura, per ascoltare le proposte della cittadinanza napoletana sul futuro del Real Albergo dei Poveri, sito nel quartiere San Carlo all’Arena a Napoli, e anche detto Palazzo Fuga dal nome del suo costruttore, Ferdinando Fuga.
I fondi stanziati per l’apertura dell’enorme comprensorio – si parla di più di 100.000 mq, uno dei palazzi più grandi d’Europa – sono 100 milioni del PNRR e serviranno sia a completare il consolidamento e il restauro dell’edificio sia a riaprirne i battenti dopo una chiusura che si data al 1980: ma, nonostante il cospicuo stanziamento, ancora non si sa che funzione avrà l’edificio una volta riaperto. Anzi, ed è un tema emerso anche durante l’audizione che stiamo raccontando, per garantire apertura e funzionamento serviranno fondi ancora non stanziati. Circa dieci giorni fa, poi, in un nuovo incontro tra Carfagna e Gaetano Manfredi, sindaco neoeletto, si è discusso dello stanziamento di ulteriori 89 milioni dei fondi del PNRR per l’area di Bagnoli, attraverso due progetti sugli ecosistemi dell’innovazione del Mezzogiorno. In attesa che i ministeri sciolgano la riserva, facciamo il punto della situazione ad oggi.
L’edificio e l’audizione
Il Real Albergo dei Poveri, fortemente voluto da Carlo di Borbone e iniziato nel 1749, avrebbe fornito Napoli di un ospizio per ottomila poveri del regno, separati per sesso ed età e instradati verso attività lavorative e manifatturiere. Il progetto illuministico del sovrano, chiamato in seguito a regnare sulla Spagna, non vide mai la luce e fu molto ridimensionato nelle ambizioni dall’architetto e da coloro che ne seguirono la costruzione. Nell’Ottocento, allo scopo di “formare” si affiancò presto quello di “sorvegliare e punire”, ma nel palazzo convissero, comunque, anche una scuola di musica ed un “istituto per sordomuti”. Nel secolo scorso, prima che il terremoto dell’Irpinia ne congelasse le sorti, il comprensorio ospitò un istituto di tutela e assistenza per minorenni e un tribunale minorile.
Il destino dell’istituto, dalla sua fondazione e fino ai primi anni duemila, è sempre stato, quindi, caratterizzato da finalità assistenziali, ma non è mancata l’idea di una “riabilitazione” degli individui nella società, attraverso la creazione di scuole di arti e mestieri, o di associazioni che si dedicassero a bisogni specifici. Anche per questo, diversi interventi nell’audizione dello scorso luglio, in particolare da parte di associazioni e comitati locali, hanno rimarcato la necessità di mantenere questa finalità come la principale. Di seguito discutiamo e analizziamo le principali proposte emerse in quell’audizione.
Molti intervenuti hanno richiesto un luogo di “produzione culturale” che dovrà ospitare una biblioteca, talvolta individuata nella Biblioteca Nazionale cittadina, da trasferire in piazza Carlo III, talaltra nel fondo di libri di Gerardo Marotta, compianto animatore dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Una terza proposta è indirizzata all’istituzione di una biblioteca per bambini e ragazzi, con un catalogo da creare ex novo, e a cui affiancare laboratori di scrittura, pittura, scultura, teatro, cinema e musica. Altrettanto gettonata è poi stata l’idea di rispettare l’originario ruolo sociale del “palazzone”, prevedendo asili nido, case di riposo e alloggi temporanei, per immigrati, studenti e/o giovani turisti. Infine, in molti hanno suggerito di farne un polo dirigenziale: una scuola di alti studi politico-amministrativi, una sede in cui concentrare alcuni uffici comunali o, in alternativa , quelli preposti ai compiti di tutela dei beni culturali, di competenza comunale, regionale o statale. Si è pure fatto riferimento alla creazione di nuovi spazi espositivi dove ampliare la proposta del Museo Archeologico Nazionale o del Museo del Tesoro di San Gennaro o destinare nuove collezioni chiamate a rappresentare la “napoletanità” tutta: dall’arte presepiale alla ceramica, dal restauro al design, tenendo dentro anche gastronomia, sartoria e arte contemporanea.
Alcune riflessioni, alcuni rischi
Considerate tali proposte, riteniamo che alcune siano da vagliare approfonditamente. Non conosciamo l’esatta estensione dei ricchi depositi del MANN, ma è noto che si sta già lavorando nell’attuale edificio per ampliare lo spazio espositivo. Non comprendiamo nemmeno del tutto la necessità di spostare la Biblioteca Nazionale di Napoli (forse motivi legati all’ampliamento degli spazi espositivi del neonato istituto autonomo di Palazzo Reale?), mentre molto più interessante appare la proposta di dare una sede dignitosa al fondo di Gerardo Marotta, così come sposiamo in pieno l’idea di una grande e aggiornata biblioteca di quartiere. In ogni caso, i progetti presentati dovranno tener conto di due vincoli che insistono sull’edificio. Il primo è quello di bene storico-artistico; il secondo è quello assistenziale, stabilito dalla legge regionale 65/1980.
La nuova destinazione dell’Albergo dei Poveri non dovrà essere calata dall’alto, senza un’interlocuzione approfondita con le realtà del quartiere che per quarant’anni è vissuto all’ombra del complesso, facendo a meno di un enorme casermone dismesso. La coesione sociale che potrebbe davvero scaturire dalla riapertura del Palazzo non dovrà essere minata dalla fretta di spendere i fondi del PNRR che andranno restituiti e dovranno, quindi, creare percorsi virtuosi che si autoalimentino. Sembra anche lecito chiedersi con quale personale il Nuovo Albergo dei Poveri sarà riempito. Il tema delle assunzioni resta cruciale, se si considera che, una volta individuate le nuove finalità dell’edificio, queste dovranno essere perseguite da un gruppo di professionisti adeguatamente formati.
I dati sul progetto che il Governo ha in mente (se esiste) sono ancora molto scarsi, nonostante i 100 milioni stanziati, ed appare evidente il rischio di creare un polo culturale, a fronte di un esborso economico altissimo (per non parlare dei costi di manutenzione!), senza aver dato forma alle reali necessità dei cittadini, di quelli che hanno voce e di quelli che non ne hanno. Si rischia di creare uno spazio elitario in un quartiere e in una città con un problema abitativo cronico e una grande quantità di persone che vivono in povertà ai margini della società. Dato che i fondi ci sono, è giunto il momento di rispondere ai bisogni reali della cittadinanza. Non dimentichiamo, inoltre, che tutti questi fondi andranno gestiti anche dal MIC, che attualmente ha grossissimi problemi di organico: come si rispetteranno i tempi imposti dall’Europa, con le risorse umane ridotte attualmente a meno della metà di quelle necessarie?
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