Secondo le ultime indagini solo una piccola percentuale delle persone che lavorano nel settore culturale viene inquadrato con questo CCNL. Perché lo invochiamo e qual è la sua storia?

Da anni come Associazione Mi Riconosci chiediamo continuamente l’applicazione obbligatoria del Contratto collettivo nazionale di Federculture per tutti gli appalti e le istituzioni (non pubbliche) che hanno a che fare con il settore culturale: d’altronde si tratta dell’unico contratto esistente in Italia pensato con quel fine. Ma allora perché la stragrande maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici del settore non l’hanno mai visto, e perché tanti comuni, fondazioni, musei, mai hanno pensato di applicarlo? Una breve sintesi della genesi e della storia del contratto, aiuterà ad avere le idee più chiare.

Cos’è il contratto collettivo nazionale Federculture

Federculture è un’associazione datoriale (cioè che rappresenta i datori di lavoro del settore) che nasce nel 1997, periodo in cui in Italia si stava apparecchiando con grande consenso una gestione privatistica degli istituti culturali pubblici. Un primo e già decisivo passo in questa direzione è la legge Ronchey, che già nel 1993 apre la strada alle esternalizzazioni dei servizi “aggiuntivi”, poi estesi alla totalità dei servizi culturali di musei, biblioteche e archivi. Nel 1996 i teatri di interesse nazionale vengono trasformati in Fondazioni Lirico-Sinfoniche di diritto privato, mentre a partire dal 1998 la stessa possibilità viene estesa anche a musei e altri enti che gestiscono beni culturali. La conversione degli istituti da pubblici a enti di diritto privato implicava, oltre alla modifica della natura giuridica, anche l’introduzione di nuovi contratti per i dipendenti soggetti al passaggio. Il Federculture, firmato nel 1999, nasce dunque per colmare un vuoto – un contratto privato nel settore dei beni culturali – ma anche per garantire ai lavoratori e alle lavoratrici la conservazione di determinati standard contrattuali, che non potevano essere inferiori a quelli del CCNL di provenienza. Per questo motivo, ad esempio, gli inquadramenti del Federculture fanno ancora riferimento esplicito ai livelli delle funzioni locali (A,B,C,D) e mantengono delle caratteristiche tipiche dei contratti collettivi della pubblica amministrazione, integrate con le nuove esigenze di “flessibilità” e “ottimizzazione” che caratterizzano invece il comparto privato.

L’applicazione sul territorio a tutt’oggi 

Seppur ancora con delle lacune, il Federculture come detto è attualmente l’unico CCNL che tiene conto delle specificità del settore dei beni culturali, delle sue mansioni (in qualche caso ancora troppo generiche) e professionalità a tutti i livelli e gradi di preparazione; tuttavia, viene applicato nella maggior parte dei casi solo per lavoro d’ufficio, ruoli di responsabilità, amministrazione, coordinamento e direzione, soprattutto per il personale interno alle fondazioni. Se andiamo invece ad esaminare ciò che succede al personale esternalizzato, sia di enti pubblici che privati, del contratto di settore troviamo poche tracce. Secondo la prima indagine sulle condizioni di lavoro di Mi Riconosci? (Cultura, contratti e condizioni di lavoro – 2019) solo il 7% di chi lavorava con un contratto da dipendente era inquadrato con il CCNL Federculture, mentre nel 2022 (Lavorare nel settore culturale – 2022) la percentuale scende al 6%. Il 36% di questa minoranza lavorava per fondazioni private o a partecipazione pubblica, un altro 34% per cooperative, la metà delle quali con appalti in Sardegna. La Sardegna è infatti la regione in cui si applica di più il CCNL, con il 29% delle risposte.

Perché il Federculture non viene applicato?

Da questi dati emerge che il contratto Federculture, nonostante le sue premesse dichiarate, sembra essere nato per non essere applicato su larga scala. Già nel 1997, nel primo appalto per la gestione del Colosseo – allora come oggi il sito statale più visitato d’Italia – viene sdoganato l’utilizzo del CCNL Pulizie e Multiservizi, che di lì a poco sarebbe diventato egemone nel settore. Non a caso, proprio nel 1997 sindacati e associazioni datoriali si accordano per estendere il mansionario di questo Ccnl agli ambiti lavorativi più disparati (oltre alla cultura, logistica, ristorazione, industria alimentare, trasporti, servizi amministrativi, etc.), aggiunti a quello dei servizi di pulizia a cui era inizialmente destinato. Proprio grazie a questa operazione, dalla fine degli anni Novanta il Multiservizi comincia a diffondersi a macchia d’olio.

L’utilizzo di contratti non afferenti al settore venne presto normalizzato, tanto che addirittura ICOM, nella sua indagine sui contratti nei musei datata 2006, descrive il Federculture solo come uno dei tanti contratti possibili, legittimando ulteriormente l’utilizzo sistemico di Multiservizi e altri CCNL più poveri e meno specifici. 

Le mobilitazioni recenti in favore di Federculture

Non tutto però è immobile. Negli ultimi anni, grazie all’apertura di un dibattito pubblico sulle condizioni lavorative del settore culturale, in alcuni musei e biblioteche si sono sviluppate vertenze – alcune tuttora in corso – orientate al miglioramento delle condizioni occupazionali del personale in servizio. Le vertenze hanno spesso al centro la rivendicazione del contratto di settore, dato che nella maggioranza dei casi ai lavoratori si applicano invece i più poveri Multiservizi, Cooperative Sociali o Servizi Fiduciari. 

Ai Musei Civici di Milano, ad esempio, le persone addette al servizio di accoglienza e sorveglianza, a cui si sono aggiunte più recentemente quelle impiegate presso le biglietterie, stanno portando avanti una strenua battaglia sindacale, che ha già scalzato il contratto della vigilanza privata applicato dal 2018 e ora rivendica quello di settore. Grazie alla pressione dei sindacati, è stato ottenuto l’inserimento del contratto Federculture all’interno dell’ultimo bando per i servizi di biglietteria come CCNL di riferimento per le aziende partecipanti alla gara d’appalto. I risultati li vedremo solo a procedura conclusa, ma è certamente un passo in avanti.

La stessa Federculture si espone per la prima volta nel 2022, con un comunicato che criticava duramente il bando di gara scritto da Consip per l’appalto del Colosseo, dove veniva indicato il Multiservizi come contratto di riferimento, lo stesso che aveva applicato Coopculture per ben 25 anni. Federculture rivendicava la titolarità del proprio CCNL come l’unico rappresentativo del settore e denunciava la scarsa tutela che avrebbe garantito ai lavoratori il CCNL Multiservizi.

Nel maggio 2023 a Verona, dopo uno sciopero partecipatissimo del personale di sorveglianza dei Musei Civici iscritto all’USB, il Comune emana una delibera con la quale aderisce all’associazione Federculture. Nella stessa delibera era prevista la richiesta di applicazione del contratto di settore in tutti i futuri bandi per l’affidamento di servizi culturali. Ad oggi siamo ancora in attesa dei risultati di questa importante presa di posizione: si auspica che questo impegno da parte del Comune di Verona porterà tutto il personale esternalizzato del comparto culturale ad essere finalmente inquadrato con il CCNL corretto. 

Di recente, il Comune di Udine ha tradotto la sua linea programmatica in realtà, predisponendo un bando di gara con dei criteri tali per cui la cooperativa vincitrice è stata vincolata e quindi costretta ad applicare il CCNL di settore ai suoi dipendenti. La ricetta per ottenere questo risultato è semplice e va ricercata negli articoli del nuovo codice degli appalti, che permette di inserire poche ma strategiche formule che tutelano il costo e le condizioni di lavoro del personale esternalizzato: dare peso alla qualità dell’offerta del servizio, a scapito della sua economicità (punteggio offerta tecnica nel bando udinese era di 85 punti, mentre l’offerta economica di 15), esplicitare che il costo della manodopera non debba essere ribassato (art. 24), indicare il CCNL di riferimento (art. 13).

Le prospettive 

A proposito di adesioni: gli associati a Federculture sono ben cinquanta, tra regioni, province, comuni, aziende, consorzi, fondazioni, istituzioni, società e associazioni di tutto il territorio nazionale. La lista completa è sul sito dell’associazione datoriale e basta darci un’occhiata per trovare il proprio comune, regione o addirittura il proprio datore e luogo di lavoro. 

Se tutti gli iscritti a Federculture decidessero – come fatto di recente dal Comune di Udine – di applicare e far applicare da terzi il suo CCNL a tutte le persone impiegate e in tutti gli istituti culturali, la percentuale di personale inquadrato con questo contratto salirebbe esponenzialmente e allo stesso tempo si ridurrebbe la povertà che attanaglia il settore.

Sia chiaro, il Ccnl Federculture è solo uno dei passaggi necessari a dare dignità al lavoro culturale: il contratto di settore deve essere applicato ai livelli giusti, che tengano conto della preparazione, esperienza e competenze del lavoratore e della lavoratrice; il monte ore deve essere full time, mentre il contratto part-time deve essere una scelta e non un’imposizione (lo stesso vale per i contratti a chiamata). Indennità, maggiorazioni e straordinari devono essere pagati regolarmente e non deve esserci abuso della banca ore. Vincere una gara e applicare il contratto giusto non è sufficiente per garantire condizioni di lavoro dignitose: gli illeciti sono dietro l’angolo. Per questo è fondamentale la sindacalizzazione, ma anche conoscere i propri diritti e spingere per farli rispettare. Tra questi diritti, quello a vedersi applicato (come accade in molti altri settori meglio sindacalizzati) il contratto… di settore.


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