Si è scatenato un dibattito enorme, nelle ultime due settimane, dopo che il Ministro Bonisoli ha dichiarato al Corriere della Sera, il 16 giugno, l’intenzione di eliminare il Bonus Cultura per i diciottenni, o 18app: per capirci, i 500 euro consegnati a tutti gli italiani che compiano diciotto anni e utilizzabili per acquistare libri, CD, concerti, e via dicendo. Intenzione in realtà poi presto smentita dal Ministro, e poi smentita di nuovo.
Come usuale in questi mesi, il dibattito sulla questione è risultato polarizzato e svilente, ed è subito partito l’hashtag #18appnonsitocca. Ma cerchiamo di mettere un po’ di ordine, di fronte alla confusione del Governo e dell’opposizione. Come Mi Riconosci e come Rete della Conoscenza abbiamo più volte criticato, in questi anni, quella assurda misura voluta dall’allora ministro Franceschini. Ma adesso che qualcuno propone di eliminarla, anzi di limitarla, anzi di estenderla (sic!), è necessaria, crediamo, un’analisi più ampia.
Partiamo da un dato: il Bonus Cultura, così com’è strutturato ora, è una misura molto costosa, 290 milioni di euro l’anno. Una voce enorme rispetto alle altre voci della legge di bilancio dedicate alla Cultura (8 milioni per l’intero Sistema Museale Nazionale, 1 milione per le biblioteche scolastiche…). 290 milioni di euro usati per dare 500 euro a tutti i diciottenni, anche provenienti da famiglie benestanti o ricche, e a nessun altro.
Una misura che permette, a tutti i diciottenni, di spendere 500 euro in cultura, in sé può sembrare estremamente positiva, ma dobbiamo guardare in faccia i dati: nel nostro Paese, alla luce di dati drammatici riguardo l’abbandono scolastico e i consumi culturali, è evidente che non basterà dare 500 euro ad un diciottenne per incentivare la lettura di libri o la frequentazione di musei, cinema o teatri. E infatti non è bastato. E ancora, non si comprende perché, di fronte a dati del genere, non si debba intervenire prima dei diciotto anni, o perchè no anche dopo. Davvero non si può fare di meglio? Davvero questi 290 milioni l’hanno sono ben spesi?
No, non lo sono. Sono una mancia inutile e ridicola. Per far innamorare i giovani della Cultura non servono 500 euro una tantum, né serve toglierli per costringerli a “rinunciare a un paio di scarpe”. Con 290 milioni di euro (duecentonovanta milioni) si possono aprire biblioteche pubbliche in tutti i paesi, i quartieri e comuni italiani che ne sono privi, o che ne possono usufruire solo in orari limitatissimi; si possono rendere i musei e i luoghi culturali gratuiti anche per gli studenti universitari, i pensionati e per tutte le fasce in difficoltà, nonché lanciare una campagna che faccia conoscere a tutti i vantaggi di questa gratuità (quanti adolescenti non sanno che i Musei per loro sono gratis?); si può garantire l’acquisto gratuito di libri per le fasce svantaggiate; e soprattutto si possono assumere professionisti preparati, comunicatori, divulgatori, per rendere i luoghi culturali vivi, belli, attrattivi, riempiendoli di giovani e meno giovani senza per questo calare di contenuti.
Queste sono misure strutturali che sarebbero utili, anzi fondamentali, per l’intera cittadinanza, che rilancerebbero l’occupazione e i consumi culturali, ridurrebbero l’esclusione sociale, le differenze di classe, le differenze territoriali, l’analfabetismo funzionale. Forse per questo si preferisce spendere una cifra enorme per regalare 500 euro a tutti?
Il Bonus Cultura deve sparire, deve rimanere un brutto ricordo. Ma quei soldi vanno investiti in Cultura, in istruzione, in misure utili e lungimiranti. Per questo, per rompere la retorica di vuota contrapposizione tra parti, il 6 luglio saremo in presidio al Mibact per chiedere al Ministro Bonisoli di investire i 290 milioni di euro del Bonus Cultura in misure strutturali per il settore culturale. Come è giusto, logico e necessario.
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