Quando, poco meno di tre anni fa, “Mi Riconosci” ha visto la luce come campagna per un equo accesso alle professioni dei Beni Culturali e per la valorizzazione dei titolo di studio del settore, lo sapevamo benissimo: per ottenere ciò che chiedevamo, ciò che ci appare necessario non solo per noi, ma per tutta la collettività, scendere in piazza sarebbe stato un passaggio imprescindibile. Certo, imprescindibile quanto fare informazione attraverso i social network, quanto fare assemblee e incontri informativi, quanto creare una rete sui territori, quanto creare proposte di legge e via dicendo, tutte cose che abbiamo fatto giorno per giorno in questi tre anni. Imprescindibile, ma forse ancor più importante: sì, perché solo lo scendere in piazza, guardarsi negli occhi, contarsi, dire “sì, ci siamo anche noi, i nostri diritti contano, la nostra battaglia merita una piazza gremita”, solo questo può far scattare un’autocoscienza professionale che mai abbiamo avuto in passato come categoria.

Siamo scesi in piazza pochissimi mesi dopo la nostra nascita, il 7 maggio 2016 in occasione di Emergenza Cultura, e fu un successo, la più grande manifestazione del settore fino ad allora. E allora perchè non riprovarci, con qualcosa di ancor più grande e ambizioso, qualcosa che anche a partire dal nome parlasse di Lavoro, di diritti e dignità del lavoro e dei lavoratori? Sapevamo che sarebbe arrivato quel momento, ma non avremmo mai pensato che sarebbe arrivato così presto, il 6 ottobre 2018.

Quando, lo scorso aprile, da una serie di email e telefonate è sorta l’idea di una manifestazione unitaria nazionale per la Cultura e il Lavoro, ci abbiamo ragionato moltissimo: possiamo farcela? Su che aiuti potremo contare? Lanciare una manifestazione a prescindere dal Governo, contro politiche ormai decennali? Dopo una riunione fiume, non ci siamo tirati indietro, e abbiamo deciso che sì, il momento era questo.

Facile spiegare perché aderiamo a una simile manifestazione, come professionisti dei Beni Culturali e aspiranti tali. Il nostro precariato, i nostri diritti mancanti, i nostri stipendi ridicoli (quando ci sono) non sono frutto di questa o quella singola legge, ma di un sistema costruito negli anni che ha fatto del nostro settore, e poi di quello dei creativi, e degli artisti, il luogo idoneo dove sperimentare nuove forme di sfruttamento: il lavoro gratuito e senza diritti, la precarizzazione come modello standard, la “gavetta” infinita. Problemi simili vanno affrontati anzitutto con una manifestazione unitaria. Certo, non dimentichiamo le leggi, perché di lì si passa, e per questo nel Manifesto troverete anche richiami alla legge 110/2014, che attende attuazione da quattro anni (di cui tre e mezzo nell’illegalità), o alla legge Ronchey del 1993, che esternalizzò tutto l’esternalizzabile per vantaggio di pochi privati, regolarizzando al contempo il lavoro gratuito in Musei, Archivi e Biblioteche. Ma i cambiamenti legislativi vanno inquadrati in un cambiamento di approccio: il Patrimonio Culturale è fondamentale per il futuro del Paese, non solo per il nostro futuro. Lo dicono tutti gli indicatori sociali, culturali, economici. Il modello che è stato applicato in questi trent’anni non funziona affatto, e non esiste alternativa al cambio radicale: servono investimenti in risorse umane, competenze e lavoro di qualità, in un settore chiave del nostro Paese.

Questo lo devono sapere tutti, perché la propaganda mediatica ha fatto circolare falsità per decine di anni. Questo devono saperlo i colleghi, devono saperlo i cittadini, deve occupare le prime pagine dei giornali e le prime serate in TV. Perché ciò accada, dobbiamo prenderci la piazza, e lo faremo il 6 ottobre, insieme a tutte e tutti voi.

Aderiamo alla Manifestazione per la Cultura e il Lavoro perchè è una scelta non più rimandabile. Non serve a noi, serve al Paese.


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