Come collettivo Mi Riconosci ci interroghiamo costantemente su come ottenere una migliore gestione del Patrimonio culturale, che lo avvicini alle comunità e lo valorizzi maggiormente. La proprietà collettiva e comunitaria, purtroppo non prevista dalla legge italiana, ci appare come una delle possibili soluzioni: soluzione però non solo, ad oggi, di difficile raggiungimento, ma allo stesso tempo spesso osteggiata dalla politica nazionale e locale, che caldeggia l’affidamento a soggetti privati (di norma gruppi economici locali): basti qui menzionare il progetto della proprietà collettiva per l’Isola di Poveglia a Venezia, mai andato in porto. Eppure c’è chi ce l’ha fatta, ed è questo il caso di chi ha acquistato collettivamente Castel Pergine (in provincia di Trento). Come hanno fatto?Lo abbiamo chiesto a loro, cercando di comprendere se, con le manchevoli leggi italiane attuali, la proprietà collettiva di un bene culturale sia possibile, e quali sono le condizioni necessarie per poter percorrere quella strada. Ha risposto alle domande Manuela Dalmeri in qualità di portavoce del Consiglio di Amministrazione della Fondazione CastelPergine Onlus.
1) Come è nata l’idea dell’acquisto collettivo di Castel Pergine e come ha preso piede?
L’idea è nata a fine 2016 – inizio 2017, ad alcuni amici, legati al castello da amicizia con i gestori Theo e Verena Schneider-Neff e appassionati di storia e frequentatori del castello e dei beni culturali in generale, appena saputo della messa in vendita del bene, di proprietà privata svizzera. Successivamente è stata condivisa con altri amici ed estesa alla platea più ampia, in primis quella delle associazioni culturali. Immaginare il castello chiuso (possibilità non remota in caso di mancata vendita) è parso subito un dramma:
- per la sua conservazione, perché è risaputo che gli edifici abbandonati subiscono intrusioni e vandalismi,
- per la scomparsa di un polo culturale e turistico con caratteri di unicità sul territorio (in particolare perginese, ma non solo),
- per l’ennesima soppressione di un contesto lavorativo/occupazionale
- per la temuta interdizione o l’abbandono di un’area paesaggistica e naturalistica finora di godimento pubblico, perché il castello ha 17 ettari di proprietà con percorsi e aree verdi liberamente frequentabili.
Ottenuto l’assenso della proprietà sono iniziate in aprile 2017 la campagna per l’acquisto, orientata verso soggetti pubblici e privati, e la conseguente raccolta fondi. Con i necessari, estenuanti, adempimenti burocratici e amministrativi, il 29 novembre 2018 è stato firmato il rogito ed è stata acquisita la proprietà alla Fondazione Castel Pergine Onlus.
2) La Costituzione italiana non prevede la proprietà collettiva, tuttavia voi definite Castel Pergine il primo maniero d’Italia di proprietà collettiva: come mai?
A volte la legge deve essere superata dalla realtà. Con un lavoro grossissimo e impegnativo, portato avanti da persone interessate e competenti, siamo riusciti a coinvolgere oltre 800 soggetti nella fondazione. Ciò ne garantisce la natura collettiva. Citando Giuliano Volpe «dobbiamo uscire dalla palude immobile nella quale si è a lungo impantanato il mondo dei beni culturali nel nostro Paese, da tempo bloccato in una malintesa, cieca fedeltà alla tradizione, di cui si adorano le ceneri anziché ravvivarne il fuoco».
L’art. 9 della nostra Costituzione «promuove lo sviluppo della cultura» ed è un pilastro concettuale fondamentale, poi però la cultura intesa come partecipazione trova riferimenti nella Convenzione di Faro del 2005, dove si sottolinea l’importanza di promuovere non tanto un diritto del ma un diritto al patrimonio culturale, che può rivelarsi autentica «scuola di democrazia».
La Convenzione di Faro, trattato multilaterale in base al quale gli Stati accettano di proteggere il patrimonio culturale e i diritti dei cittadini di accedere e partecipare a tale patrimonio, è di enorme interesse: supera la dicotomia pubblico-privato anche in ambito del patrimonio e il tema dei beni comuni vi trova fondamento oltre la nota tematica che riguarda l’acqua, il suolo, l’aria, alcuni beni demaniali. Noi ci poniamo in questo solco.
3) Alla luce della premessa precedente, perché avete deciso di utilizzare la forma giuridica della fondazione?
Perché la fondazione più che la cooperativa o l’associazione può essere costituita sul e per un patrimonio, e il nostro patrimonio è il castello insieme alla partecipazione alla costituzione del capitale per il suo acquisto.
4) A livello giuridico, chi “partecipa” di più, con maggiori capitali, a una fondazione di partecipazione, ha di norma maggiore peso all’interno della stessa. Pensate che esista un rischio, per Castel Pergine, di vedere la comunità cedere il passo ai maggiori investitori? E come vi siete tutelati in tal senso?
Le fondazioni di partecipazione hanno libertà di strutturarsi attraverso i propri statuti, che quindi possono prevedere gli organismi per il funzionamento e le garanzie di partecipazione. Il quadro, si sa, è mutevole e in attesa della Riforma del terzo settore con il Codice e il Registro. Anche le fondazioni – sembra – diventeranno Enti del terzo settore. Sul castello, come ulteriore garanzia di tutela di bene comunitario, vi sono le convenzioni con la Provincia e con il Comune che prevedono da un lato l’obbligo di consentire la libera frequentazione delle terre della collina (con relativa partecipazione alla manutenzione dei sentieri, dell’illuminazione ecc.), dall’altro l’apertura al pubblico del parco tra le due cinte murarie e la libera frequentazione di alcune zone del Palazzo Baronale. Sono convenzioni che risalgono a inizio secolo scorso, previste e rinnovate a ogni passaggio di vendita (dalla Mensa Vescovile al bavarese Putz, da Putz al Comune di Pergine e dal Comune di Pergine allo svizzero Oss nel 1956 e ora dalla fam. Oss-Ringold alla Fondazione). Diciamo che la conoscenza della storia del castello, cui ci siamo dedicati con ostinata passione, ci ha dotato di alcuni importanti strumenti e leve per costruire il progetto e ancora una volta noi, appassionati di storia, dobbiamo considerare l’avvedutezza degli amministratori che nel passato hanno saputo guardare oltre e creare le basi per proteggere il bene castello.
5) Credete che questa esperienza possa o debba essere esportata e presa d’esempio per altre realtà o luoghi?
Assolutamente sì: non solo siamo disponibili a “contaminare” altre realtà, ma lo consideriamo un dovere, perché la nostra esperienza ha potere germinativo e ragionare sul sistema dei beni culturali anziché sul singolo bene, condividere proposte ed esperienze, rafforza tutto il mondo della cultura col suo patrimonio storico-artistico. Ogni realtà ha le proprie peculiarità e si deve “scavare”, andare veramente a fondo nella conoscenza per costruire uno strumentario solido, anche questo è un valore formativo. Da molti luoghi d’Italia e anche d’Europa ci hanno contattato per avere informazioni sulla nostra esperienza, e noi l’abbiamo raccontata pensando che essa possa essere replicata. Siamo consapevoli anche delle specificità del nostro caso e del fatto che spesso le amministrazioni pubbliche rendono iniziative come la nostra molto difficili: per Castel Pergine, l’amministrazione provinciale ha avuto un ruolo positivo di una certa importanza nel processo che ha portato all’acquisto del bene da parte della fondazione, dimostrandosi infatti attenta e sollecita nel dare spazio alle esigenze della comunità.
Nella nostra conversazione con i promotori del progetto, abbiamo scoperto anche un altro interessante dettaglio. Quando il castello è passato nelle mani di privati svizzeri, negli anni ’50, il comune ha stretto un accordo con tali privati affinché alcune aree del castello rimanessero di uso pubblico, e questo è una condizione che tendenzialmente disincentiva la partecipazione ai bandi di soggetti privati che non abbiano a cuore il bene comune. Forse anche per questo, al momento del passaggio di proprietà, la Fondazione Castel Pergine si è trovata unica partecipante al bando. Questa è stata una decisione importante dell’amministrazione pubblica, perché ha avuto delle ricadute notevolissime nella difesa del carattere aperto, comune del castello, anche a distanza di decenni. A riprova che una gestione dal basso del nostro patrimonio culturale è possibile solo quando la politica fa la sua parte: battersi per gli interessi della collettività.
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