Il renziano Mauro Felicori, ex direttore della Reggia di Caserta, è stato nominato assessore alla Cultura della neonata giunta Bonaccini. Quali sono i suoi piani per il Patrimonio culturale emiliano-romagnolo?
Ormai da decenni non è più molto chiara la visione che la sinistra emiliano-romagnola ha della Cultura: come tipico nella sinistra parlamentare italiana. Una cultura per tutti, contro ogni differenza di ceto e censo, o una cultura per chi può permettersela? Una cultura amministrata e gestita dallo Stato nell’unico interesse dei cittadini, o una cultura in cui enti privati possono battere cassa e imporre l’agenda? Difficile dirlo.
In Emilia-Romagna le biblioteche per abitante sono più di quelle delle regioni del Nord abitualmente amministrate dal centrodestra, certo, ma meno di tante altre regioni meno ricche; la partecipazione culturale è più alta della media nazionale, ma comunque bassa (il 61% della popolazione non frequenta i musei). E se da un lato gli investimenti in cultura ci sono stati, dall’altro diversi Istituti di altissimo livello, a partire dai siti culturali di Ravenna, sono gestiti da Fondazioni vicine alla politica. Difficile scorgere una chiara visione della società e della cultura in tutto questo.
La scontata nomina di Mauro Felicori, ex amministratore del Comune di Bologna catapultato dal Governo Renzi alla direzione della Reggia di Caserta, ad assessore regionale alla Cultura, non può che confondere ancor più le acque. Questo perché lo stesso Felicori, esponente di Italia Viva eletto in consiglio regionale con una lista civica, esprime la sua visione della Cultura in maniera continuamente contraddittoria.
Prendiamo una delle ultime interviste rilasciate prima delle elezioni: Felicori da un lato affermava che “la cultura può riprodurre le diseguaglianze. Organizzarla in modo da combattere le diseguaglianze culturali è il mio punto politico principale: far sì che la cultura contrasti le diseguaglianze. […] musei, biblioteche, teatri devono prendere per mano le persone meno istruite e mostrare loro quanto la cultura può essere appagante”, ma poche righe prima sosteneva che “si sa che i beni culturali in Italia hanno un rendimento economico pari a zero: ciò vuol dire che non producono lavoro di qualità”: affermazione quest’ultima non solo superficiale (molti musei attraverso l’indotto turistico producono un rendimento economico importante), ma anche basata su un sillogismo ideologico e fallace che tanta fortuna ha avuto in questi decenni. Chiaro è che ogni servizio pubblico essenziale, quali quelli culturali, la scuola o la sanità, deve essere finanziato e basato su lavoro di qualità a prescindere dal rendimento economico, in quanto presidio di uguaglianza e democrazia.
Dunque cosa ha intenzione di fare Mauro Felicori con il patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna? Oltre all’appartenenza partitica, più delle interviste rilasciate in campagna elettorale è il suo passato a illuminarci. Il rapporto di Mauro Felicori con le Fondazioni a partecipazione pubblica non è un segreto: fu nominato da Vincenzo De Luca a commissario della Fondazione Ravello ed è dirigente della Fondazione Ago di Modena. Da direttore della Reggia di Caserta, propose che tutti i più grandi musei statali italiani diventassero fondazioni. Nello stesso ruolo concesse per pochi spiccioli gli ambienti della reggia per un matrimonio pubblicizzato sui giornali di tutto il mondo (con ben evidente la pubblicità gratuita all’azienda degli sposi), e, mentre si impegnò alacremente per far aumentare il numero dei visitatori, o per diminuire lo spazio di azione dei sindacati, non si adoperò in nessun modo per rivedere gli accordi con i concessionari (tutti del Centro e Nord Italia) che garantiscono che oltre il 30% degli incassi della Reggia non restino sul territorio. Godette di un abnorme visibilità mediatica, dovuta solo in parte al suo oggettivo impegno e a una più che infelice lettera sindacale che lo accusava di “lavorare troppo”: basti pensare che i giornali riuscirono a far passare come innovativa l’idea, banale e già sperimentata in centinaia di altri luoghi, di concedere il marchio della Reggia per produrre mozzarelle.
Non sembrano quindi esserci segreti nella visione politica di Mauro Felicori, né nel suo approccio economicistico al Patrimonio culturale. Sembrano non esserci segreti neppure nella sua visione del lavoro, non tanto per l’energica azione contro i sindacati ma per il fatto che in fretta e furia, appena arrivato a Caserta, invece di battere il pugno per ottenere nuove assunzioni, stipulò una convenzione con i volontari del Touring Club Italiano (associazione con cui collaborava) per garantirsi aperture aggiuntive: ci si chiede se tale convenzione avesse previsto anche un pagamento al TCI.
Dunque, al di là della retorica e delle interviste pre-elettorali, dobbiamo aspettarci il proliferare di nuove Fondazioni che esternalizzino servizi a loro volta, come nel caso di RavennAntica, e di convenzioni con associazioni di volontariato che abbattano il costo del lavoro e le assunzioni?
Questo chiediamo alla nuova giunta dell’Emilia-Romagna.
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