Iniziamo dall’aspetto economico: Venice Gardens Foundation paga al Comune, per l’area in cui sorge il Parco, un affitto puramente simbolico, e chiede un affitto vero ai gestori della caffetteria. Non è dato sapere a quanto ammonti la cifra, ma in un servizio di Report del giugno 2018 si affermava che fosse “intorno ai 400 mila euro annui”. Un veloce calcolo illustra come Generali e VGF potranno rientrare dell’investimento per il restauro in pochissimo tempo: i donatori riceveranno anche uno sconto fiscale pari al 65% della donazione effettuata. Non dubitiamo che l’affitto possa essere così alto, se non di più: in questo bene che a detta del Ministro è “restituito alla città”, bere un caffè costa 6 euro, perfettamente in linea con tutta l’area marciana. L’intero spazio è controllato da custodi, il cui compito prevede di far rispettare il regolamento, affisso all’entrata. Sebbene il parco sia costellato di panchine, ideali per una breve sosta, il picnic è vietato. Chi viene sorpreso a fare merenda o pranzo al sacco, viene invitato a riporre il cibo o ad allontanarsi dal giardino. Gruppi di bimbi che giocano o si rincorrono vengono ripresi, insomma il clima non è esattamente quello che può essere uno spazio aperto volto all’aggregazione. Vige la regola del “decoro”, prima di tutto.
L’evidenza di ciò che stava accadendo, o meglio è accaduto, data la concessione a Venice Gardens Foundation per 12 anni, è arrivato alle cronache giornalistiche locali circa un mese fa quando a una scolaresca di bambini è stato impedito di sostare nei Giardini Reali per mangiare un panino. Difficile è capire quale sia l’utilità pubblica se anche i bambini non sono i benvenuti: parrebbe uno spazio dedicato esclusivamente a turisti abbienti. Certo è, invece, che pochi giorni fa, i Giardini e il suo caffè siano stati i protagonisti di un tour dedicato alla stampa estera, per riportare il turismo in città dopo il calo dovuto ad acqua alta e coronavirus.
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