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Dall’inizio di marzo si succedono quotidianamente appelli e lettere al Ministero dei Beni Culturali. Nel disinteresse dei dirigenti, monta la protesta.

“L’emergenza sanitaria, e le sue conseguenze sono solo la punta di un problema che riguarda anni di precariato di professionisti laureati e qualificati: il denominatore comune della condizione lavorativa di molti di noi è il costante stato di instabilità contrattuale, l’assenza di riconoscimento professionale e la mancanza di visione futura. Le realtà in cui lavoriamo sono differenti e sfaccettate, ognuna con specifiche caratteristiche ma che tristemente si accomunano per una inadeguata condizione di noi lavoratori intermittenti, e non solo, che porta a svilire le nostre professionalità, oltre che a depauperare il mondo culturale locale”. Queste lucide e durissime righe arrivano da un appello lanciato il 19 maggio da 215 lavoratori della Cultura, dei musei, dei teatri del Trentino. La varietà dei firmatari e delle istituzioni coinvolte rende il testo uno dei più interessanti pubblicati questo mese. Ma è solo uno degli ultimi di una lista lunghissima.

Da quando il 12 marzo gli assessori alla cultura di diverse città italiane pubblicarono un appello chiedendo un reddito garantito e riforme strutturali per salvare il settore e le città, le lettere, gli appelli, le denunce apparse sui giornali, per diverse città e diversi settori, si succedono quasi quotidianamente. Senza pretesa di esaustività, abbiamo registrato appelli in Sardegna, Puglia, Sicilia, Lombardia, Piemonte, Veneto, Lazio, Campania, Toscana, Calabria, ma sicuramente ne esistono anche altri. 

Parliamo di appelli soprattutto dai settori dei beni culturali e dello spettacolo, ma in queste settimane anche i professionisti delle arti visive e dell’arte contemporanea si sono organizzati con Art Workers Italia, scrivendo a loro volta una lettera al Ministro.

Per non parlare dell’infinita serie di appelli e lettere arrivati dalle guide turistiche, da tante altre categorie professionali del turismo, e ancora senza contare la lunga serie di denunce di abusi subiti da parte dei lavoratori del settore culturale. 

Il 23 maggio, anche 400 scienziati hanno scritto una lettera al Governo chiedendo di ripartire da un Paese che tenga conto della sostenibilità ambientale e della cultura.

Certo il grande numero di appelli e lettere non è un segnale necessariamente positivo: indica una grande divisione e confusione nel settore. Ma questo era ben noto. Noi preferiamo notare positivamente l’enorme subbuglio e fermento che questa drammatica situazione ha portato. Certo ora è necessario passare dagli appelli ai fatti.

Noi vi abbiamo chiesto di riempire le piazze e i social con lo slogan “Senza Cultura, Nessun Futuro”, riproducendo e ricreando un occhio barrato, simbolo della protesta: si parte il 27 maggio. Una protesta anomala da portare in tutti i luoghi della cultura italiani.

Il giorno prima, il 26 maggio i bibliotecari di Firenze scenderanno in piazza. Poi il 30 maggio si terranno anche presidi in tutta Italia organizzati dai lavoratori dello Spettacolo, aperti però alle istanze dei lavoratori di tutti i settori culturali. E certo tanti altri sono i presidi e i flash-mob di cui non siamo a conoscenza: c’è anche chi ha deciso di lanciare una mappa in cui poterli segnalare.

Tante proteste, mai troppe, ma di certo troppo poco unite. Dopo due mesi di quarantena, è il momento di mettere insieme i pezzi. Il Ministero si trova con decine se non centinaia di fronti aperti. Non ne sta affrontando di petto nessuno. Dal 27 maggio, facciamo il possibile per unire questi fronti.


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