In breve, la nostra proposta alternativa per spendere, bene, i 7 miliardi del Recovery Fund che il MiBACT ha chiesto per la cultura.
Il Recovery Fund, meglio detto fondo #NextGenerationEU, sta giungendo alle battute finali. La trattativa tra stati è dura, ci saranno di certo delle condizionali, ma questi 209 miliardi (o giù di lì) che arriveranno sono un’opportunità impressionante e unica per riformare e rilanciare il nostro Paese.
Ma è su come spenderli che sorgono i problemi. Sembra infatti che il Ministero dei Beni Culturali abbia intenzione di perdere questa opportunità: ha proposto progetti per circa 6,5 miliardi, che si dividono in pochissime, grosse tranches. 2,5 miliardi per la digitalizzazione del patrimonio culturali, 1,7 miliardi per la “riqualificazione dei borghi”, 1 miliardo per la sicurezza sismica degli edifici di culto. Inoltre, il Ministro Franceschini parla ossessivamente di treni ad alta velocità (per un costo di almeno 7 miliardi), un progetto che è addirittura indicato come prioritario rispetto agli altri, pur non essendo di competenza del suo Ministero. Sono tutti fondi che quindi verrebbero spesi fuori dal sistema culturale: finirebbero a ditte esterne e a vantaggio di altri settori, quali l’edilizia, i trasporti, l’informatica, senza un piano strutturale di medio e lungo termine e soprattutto senza che i beni e le attività culturali siano al centro del finanziamento.
Noi non possiamo né vogliamo che questa opportunità venga persa. Per questo proponiamo di spendere 7 miliardi per la cultura: cultura in senso stretto, ovvero beni culturali, istituti culturali e attività culturali. Sono una cifra esigua, solo il 3% dei 209 miliardi del Recovery Fund. Eppure, se spesa opportunamente, basterebbe non solo a risolvere i problemi contingenti del settore culturale, ma a riformarlo in maniera profonda, correggendo le storture di questi ultimi decenni e permettendo la creazione di circoli virtuosi e sviluppo sociale, oltre che economico. La nostra sarà una proposta che si concentra molto sul patrimonio culturale, il nostro settore, quello che conosciamo meglio, ma che si può facilmente estendere al settore dello spettacolo e delle arti, pur con le dovute differenze che lasciamo ai lettori.
In breve, con 7 miliardi spesi per la cultura si potrebbe, si può:
- Rivedere le concessioni e riformare il sistema delle esternalizzazioni. Oggi nel settore culturale italiano si esternalizza quasi tutto, perché lo Stato non investe. Si esternalizza e si perdono moltissimi soldi: basti pensare che il 90% degli introiti di prevendita online, ristorazione, caffetteria, guardaroba e visite guidate di siti come Pompei, Uffizi o Colosseo non restano nelle casse statali ma vanno ad aziende private. Questa situazione, unita alla mancanza di una regolamentazione solida per le aziende concessionarie, porta alla fucina di sfruttamento e ricchezza per pochissimi che è il settore culturale oggi. Tutto ciò è avvenuto perché lo Stato ha scelto di esternalizzare indiscriminatamente, pensando al risparmio immediato senza programmare investimenti. Oggi ne vediamo le amare conseguenze. Ormai è evidente quanto i nostri scarsi salari siano non solo causati da scelte legislative sbagliate, ma anche “giustificati” o “costretti” dal sistema stesso: con un museo mediamente è difficile ricavare abbastanza da mantenere in piedi l’intera organizzazione di una cooperativa o di un’impresa, e si cerca di risparmiare sul costo del lavoro attraverso frequenti licenziamenti, nessuno scatto d’anzianità, contratti inadeguati… A guadagnarci sono in pochissimi. Ora, avendo i fondi necessari, lo Stato può rivedere interamente le concessioni in essere e il sistema, lasciando scadere senza rinnovo quelle che si dimostrano poco utili (pensiamo alle biglietterie di siti che contano milioni di turisti, dove l’esternalizzazione in ogni caso crea un danno di medio e lungo termine per lo Stato), e rinnovando a condizioni molto più favorevoli e sensate quelle in cui l’esternalizzazione può essere opportuna e sensata (pensiamo ai servizi di ristorazione, che possono dare lavoro a persone del posto, garantendo comunque una cospicua percentuale di entrate allo Stato). Questa profonda riforma sarebbe costosa solo nell’immediato: reinternalizzare gli introiti dei siti più importanti, infatti, garantirebbe più entrate che perdite allo Stato nel giro di pochi anni, oltre a favorire sviluppo sui territori e una più sana occupazione.
- Un piano di assunzioni diffuse commisurate alle esigenze. Sono tante le assunzioni previste dai progetti italiani per il Recovery Fund, ma basate su grandi numeri e fabbisogno generale. Il settore culturale però ha esigenze specifiche e caratterizzanti. Data la trentennale carenza di fondi, sono migliaia gli Istituti, ma anche i comuni e le regioni, che non possono contare su professionisti della cultura regolarmente assunti per pianificare la tutela e la valorizzazione del territorio, sia dal punto di vista prettamente culturale, rivolgendosi ai residenti, sia da quello turistico. Oltre a questo, il MiBACT registra 6 mila carenze in organico, a cui vanno aggiunte tutte le professionalità scientifiche e informatiche di cui il Ministero non si è mai dotato. Questa situazione ha portato a una totale mancanza di pianificazione, con alcune eccellenze disseminate su un territorio che tende ad essere caratterizzato da carenze profonde e sistematiche. Con una parte consistente dei 7 miliardi si può quindi elaborare un piano di assunzioni basato sulle reali necessità di ogni singolo territorio. A nostro avviso le assunzioni possono seguire tre linee principali:
- assunzioni per musei, archivi e biblioteche in difficoltà (o chiusi). Migliaia di istituti culturali da anni, se non da decenni, sono chiusi o incapaci di funzionare. Con una serie di assunzioni straordinarie mirate si può sia far funzionare meglio quelli aperti, sia riaprire quelli che da tempo hanno chiuso. Il MiBACT, con un ruolo di guida, dovrebbe distribuire i fondi senza differenze tra istituti statali e non, superando l’attuale barriera fra ciò che è statale e ciò che non lo è, in un’ottica d’integrazione totale che proponiamo spesso.
- piano straordinario presidi culturali. Individuare luoghi idonei per la creazione di biblioteche, teatri o altri spazi culturali (anche multifunzionali) in luoghi che ne sono sprovvisti, e fornirli di adeguato personale in modo che possano diventare presidi culturali per il territorio, attivando percorsi di inclusione sociale.
- arricchimento organici ministeriali, internalizzazione dei progetti di digitalizzazione e promozione. Il MiBACT negli ultimi anni ha investito ingenti somme per la creazione di siti internet o per progetti legati alla digitalizzazione del patrimonio. Stanziamenti che però si scontrano con la profonda arretratezza delle istituzioni museali: come constatato dall’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali del Politecnico di Milano, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 solo il 24% delle istituzioni culturali italiane aveva elaborato un piano strategico dell’innovazione digitale. Il rischio è quello di esternalizzare per intero una branca crescente dei servizi culturali (con i relativi fondi), senza peraltro creare le condizioni affinché il personale assunto abbia gli strumenti per far fronte al cambiamento in atto: in questo modo, di fatto, si finirebbe per bloccare qualunque spinta innovativa in questo campo. Con i fondi del Recovery Fund appare dunque necessario puntare a potenziare l’organico, con figure professionali specializzate in questo ambito, che lavorano per il e nel Ministero, di concerto con tutti quelli che si occupano di catalogazione, studio e inventariazione, dando finalmente seguito reale e concreto al Piano Triennale per la Digitalizzazione e l’Innovazione dei Musei, che è rimasto lettera morta.
Queste sono solo le proposte costose. Tutte però, senza distinzione, guardano al futuro con lungimiranza, cercando di affrontare i problemi alla radice e offrendo soluzioni concrete: sono investimenti mirati che consentono un risparmio strutturale che spesso diventerebbe guadagno sul medio-lungo periodo, oltre che una maggiore inclusione sociale e un maggiore indotto turistico in territori posti all’esterno dei flussi principali. E che permettono soprattutto di uscire dalla dannosa ottica emergenziale che caratterizza quasi interamente l’operato ministeriale, da decenni fino a queste ore, non ultimo con lo stanziamento dei fondi per una pioggia di incarichi diretti a tempo determinatissimo nelle Soprintendenze, ancora una volta privi di alcuna progettualità a medio e lungo termine.
Ci sono poi tante altre cose, parallele e complementari, che il MiBACT dovrebbe fare di concerto con altri ministeri, o a costo zero: ad esempio aggiornare le leggi e bandire un nuovo concorso di abilitazione per guida turistica; pianificare insieme al Ministero dei trasporti collegamenti per le aree interne che armonizzino organicamente le esigenze dei cittadini con quelle dei (possibili) turisti; pianificare insieme al Ministero dell’istruzione e della ricerca un fondo straordinario per il collegamento tra scuole e istituti culturali, che favorisca la partecipazione culturale e allo stesso modo crei occupazione. Ma di tutto ciò ci sarà tempo per parlare.
Ora bisogna spendere, e spendere bene, e spendere con cura e lungimiranza, 7 miliardi per la cultura. Questa, senza pretesa di esaustività, è la nostra proposta aperta.
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