A Padova si è creato un surreale dibattito cittadino sulla possibiltà o meno di avere una nuova statua in Prato della Valle. Ma perché tanti strali contro la statua di una donna?
Per favore non diciamo bestialità! La “Cancel culture” anche a Prato della Valle, nella mia splendida #Padova NO! Ora basta. Questo non è progressismo… bensì idiozia allo stato puro.
(David Parenzo, 3 gennaio 2022)
Nella mattina dell’8 gennaio è arrivata la proposta più… ambiziosa. Pur di non mettere la statua di una donna in Prato della Valle – la piazza più grande d’Italia, adornata da 78 statue di padovani illustri – l’amministrazione si impegnerebbe a trovare 78 diversi spazi pubblici in cui infilare “negli anni” 78 diverse rappresentazioni femminili. Ad enunciarla non un esponente qualunque della maggioranza cittadina, ma l’assessore alla cultura, con esperienza ormai decennale nel ruolo, Andrea Colasio.
Si tratta solo dell’ultima dichiarazione della serie “va bene ovunque, ma non in Prato della Valle” iniziata dal 28 dicembre e proseguita fino ad oggi a opera di una piccola ma rilevante parte della classe dirigente padovana. Serie di prese di posizioni che hanno portato Padova a ottenere una visibilità nazionale e internazionale come la città in cui – citando il New York Times – si sostiene “una donna su un piedistallo vuoto? Non così in fretta”. Erano stati Carlo Fumian, professore ordinario di storia della locale università, e Davide Tramarin, stimato storico dell’arte ed ex segretario del PD locale, a lanciare i primi strali, ridicolizzando la proposta di due consiglieri comunali locali (Margherita Colonnello e Simone Pillitteri) di erigere a Elena Cornaro Piscopia – prima donna laureata al mondo – una statua nella piazza in cui sorgono 78 statue di uomini.
Gli argomenti utilizzati riguardano l’immutabilità del patrimonio storico culturale, concetto difficilmente applicabile in ogni piazza e monumento e ancor più nel caso specifico del Prato, concepito, dal punto di vista decorativo, attraverso un progetto flessibile, impostato tra gli anni ‘70 e ‘90 del XVIII secolo ma che ha consentito l’erezione di ulteriori effigi nel periodo compreso tra il 1799 ed il 1838. E ancora, dove gli obelischi installati a sostituzione delle statue di dogi abbattute si rendono testimoni degli interventi da parte dell’esercito napoleonico del 1797, dove la fontana principale è stata inaugurata solo nel 1926, i platani piantati dagli austriaci nel 1815 sono stati rimossi trent’anni fa. La piazza, come sanno bene padovane e padovani, è tutt’ora un organismo vivo, uno spazio di civiltà, e come tale, mutevole.
E infatti in sequenza diversi esperti si sono esposti contro l’idea che Prato della Valle sia intoccabile: prima la Soprintendenza, poi la neo-rettrice dell’Università di Padova Daniela Mapelli, il professor Stefano Zaggia, lo storico dell’arte e giornalista Federico Giannini. Con coraggio l’associazione Padova Sorprende ha lanciato una proposta più strutturata, la creazione di un terzo anello di statue, interno, e una interessante lista di personaggi femminili dei secoli XIV-XIX. Eppure, di fronte alle diverse proposte, rimangono in piedi gli inviti paradossali dell’assessore Colasio all’ideazione di “78 diversi spazi pubblici”, o di Tramarin, con la realizzazione di un “prato delle donne” vicino alla stazione, nel parco che si sta progettando all’ormai ex-piazzale Boschetti, riempiendolo di statue femminili. Sono proposte deboli e forzate, che andrebbero a creare una sorta di ghetto (diffuso in un caso, concentrato nell’altro) delle statue femminili, ma avrebbero anche come conseguenza non voluta il fatto di squalificare Prato della Valle del suo significato originario: non più la piazza che contiene il pantheon dei padovani illustri, che per una casualità storica, ma senza scelta deliberata, hanno finito per essere tutti uomini fino al 2022, ma la piazza degli uomini padovani illustri. Una scelta, ed una rappresentazione, lontanissima dall’idea del creatore, deceduto decenni prima che fosse posta sui plinti l’ultima statua eretta finora.
Possibile che la sola idea che nel “pantheon padovano” possa trovare spazio anche una o più donne sia in grado di scatenare tanto fervore, addirittura richiami ossessivi alla cancel culture o proposte di SETTANTOTTO statue pur di non fare spazio (anzi, donare lo spazio che c’è già) a una sola?
Sia chiaro, Prato della Valle è un intero delicatissimo, ed ogni intervento necessita di un dibattito serio e ampio e di una valutazione tecnica lunga e complessa, che passi per un bando strutturato, evitando mosse politiche o favori ad affidamento diretto. Ma il sentore diffuso, parlando in città in questi giorni, aleggia tra il “ci sono altri problemi” (verissimo, chi può negarlo) e il “perché no, valutiamo”. Una petizione lanciata sabato pomeriggio su change.org, per chiedere una statua a Elena Cornaro Piscopia, ha raggiunto e superato in poche ore le 3mila firme. E se esistono (pochi) argomenti per sostenere che Cornaro Piscopia non sia la più adatta – fondamentalmente perché è l’unica donna già omaggiata da una statua a Padova, nel palazzo dell’Università – ancor meno sono gli argomenti validi per sostenere che Prato della Valle sia intoccabile: i tempi sono maturi per affrontare ciò che il XIX secolo ci ha lasciato, per analizzarlo, per comprenderlo e per agire di conseguenza. Perdere tempo a erigere muri, a parlare di intero perfetto quando chiunque guarda criticamente alla Piazza vede un progetto incompiuto e in evoluzione, serve solo a tentare di fermare la storia a mani nude. Considerare il Prato uno spazio musealizzabile, corrisponderebbe a rendere la contemporaneità un mero involucro a protezione di una preesistenza, mentre quello che ci auguriamo è che, in quanto spazio civico, possa rappresentare uno spazio di dialogo che consenta la coesistenza tra una narrazione passata e la narrazione presente. Servirebbe solo a chi si sente minacciato dalla celebrazione di una donna alla pari dei grandi padovani del passato, nello stesso luogo. Padova non ha bisogno di veti simili.
Mi Riconosci – sezione di Padova
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