Ebbene sì. Questo Governo sta per riformare il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del 2004, anche noto come Codice Urbani. Il codice che regola tutto il nostro settore: tutela, valorizzazione, concessioni, vincoli, professioni, eccetera eccetera.
Lo sta per fare per decreto, senza alcun dibattito pubblico e parlamentare, nello stesso stile della prima riforma Franceschini, quella che ha stravolto il Ministero: imposta dall’alto, senza alcun confronto, nel gennaio 2016. Ciò accadde allora grazie a una legge delega che permetteva al Governo (Renzi) di promulgare la riforma per decreto.
Ora si vuole andare oltre: il parlamento ha delegato l’esecutivo precedente, Conte I, a riformare il codice dei beni culturali per decreto, ma la legge delega vale due anni e, anche se la prassi parlamentare dice che la delega varrebbe solo per l’esecutivo presente… beh, sappiamo che i Governi ormai ignorano sempre più la prassi, e infatti gli osservatori danno per scontato che Dario Franceschini utilizzerà quella delega per riformare il Codice.
Scriviamo queste righe per spiegarvi perchè dovremmo preoccuparci, e preoccuparci terribilmente, per una riforma del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio che nasce senza dibattito, nelle oscure stanze, e vuole essere scritta e pubblicata in pochi mesi dal Ministro che più danni ha fatto al Patrimonio culturale italiano e al suo Ministero. E non solo per motivi formali (è inaudito che un Governo utilizzi una legge delega fatta per il governo precedente), non per motivi di metodo, ma per motivi di merito. Cosa sarà scritto nella riforma che stanno preparando?
Non è difficile prevederlo.
Se la prima riforma Franceschini, quella del Ministero, aveva come fine ultimo quello di permettere la trasformazione dei più importanti Musei italiani in Fondazioni private, se il Ministro era talmente ossessionato dalle concessioni a privati da riuscire a concedere una certosa medievale a un’organizzazione internazionale di estrema destra, è chiaro che la riforma del Codice andrà a proseguire questo disegno, a completarlo, potremmo dire. E infatti la legge delega contiene passaggi che spiegano come la riforma dovrà, tra le altre cose “rivalutare i casi in cui sono possibili l’alienazione o il trasferimento dei beni culturali appartenenti a soggetti pubblici”; “revisionare e razionalizzare la disciplina delle modalità e delle forme di cooperazione, partecipazione e sostegno dei privati”; “revisionare e coordinare le diverse modalità di concessione in uso di beni culturali”; “prevedere e disciplinare ulteriori modalità di valorizzazione di beni statali non esposti al pubblico, anche attraverso la loro concessione […] ad istituti museali pubblici e privati” e altro ancora. Si potrebbe anche decidere di non vedere in queste operazioni un intento chiaro di privatizzazione del patrimonio pubblico, ma il passato recente (trent’anni di esternalizzazioni e privatizzazioni a tutti i costi) parla chiaro, come parlano chiaro le recenti riforme ministeriali prima di Franceschini e poi di Bonisoli.
Ciò non vuol dire che il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio vigente sia perfetto, anzi: figlio di una stagione politica in cui si idealizzava l’intervento privato, è uno strano ibrido che affida la tutela totalmente allo Stato e la promozione totalmente ai privati, mentre prevede l’utilizzo di associazioni di volontariato per la valorizzazione e decide di utilizzare il sistema della sponsorizzazione (più facilmente declinabile per tentativi di evasione fiscale), invece che quello del mecenatismo, per favorire le donazioni private. E ovviamente lo stesso Codice, riprendendo leggi precedenti, prevede che i servizi museali, bibliotecari e archivistici siano sempre esternalizzati, anche quando non ve n’è bisogno. E poi ha tante altre mancanze, a partire dall’assenza di dettaglio per quanto riguarda il patrimonio antropologico o le analisi scientifiche ammesse o non ammesse. Il problema è che la legge delega, quindi la riforma che sta bollendo in pentola, non affronta nulla di tutto ciò: sarà infatti scritta da amministrativi ed economisti senza alcuna conoscenza del Patrimonio culturale italiano, a partire dall’avvocato Dario Franceschini. Senza alcuna conoscenza, ma con tanti interessi privati da tutelare e valorizzare. Chi conosce bene il sistema, lo vive sulla propria pelle, e dunque potrebbe opporsi a questo progetto, è invece lasciato alla porta, a partire dai dipendenti ministeriali fino a capaci professionisti esterni all’amministrazione.
Chiediamo a tutte le forze politiche di fermare questo processo, ed esigere che il Governo rimetta la legge delega e proceda alla riforma del Codice attraverso un legittimo dibattito parlamentare e pubblico. E chiediamo ai cittadini italiani di difendere, con le unghie e con i denti, il proprio Patrimonio culturale pubblico da questi sciacalli, incapaci di imporre le proprie idee se non per decreto. Noi ci saremo.
0 Comments