Dopo il dibattito sulla nuova definizione di museo, le dimissioni della presidente di ICOM Suay Askoy aprono un terremoto dentro l’organizzazione.
ICOM, l’International Council of Museums, sembra vivere in questi giorni uno dei momenti più difficili dalla sua fondazione nel 1947. La presidente Suay Aksoy si è dimessa il 21 giugno, consegnando le motivazioni al solo comitato esecutivo. Ma da AgCult si apprende che questa è solo l’ultima di una serie di defezioni: pochi giorni fa un altro membro del comitato esecutivo, Léontine Meijer-van Mensch, ha lasciato l’organizzazione e a seguire ci sono state le defezioni di Hilda Abreu de Utermohlen (anche lei membro del comitato esecutivo), di Jette Sandahl, presidente del comitato permanente per la definizione, le prospettive e i potenziali del museo, e di cinque dei membri dello stesso comitato (George Abungu, Afsin Altayli, Margaret Anderson, Luc Eekhout e Rick West). Nonostante l’organizzazione abbia cercato di far passare sottotraccia il tutto, nominando prontamente Alberto Garlandini come nuovo presidente ad interim, questi eventi, che colpiscono due comitati d’importanza capitale, determinano un vero e proprio terremoto all’interno di ICOM: non a caso altri pezzi di organizzazione stanno chiedendo con forza maggiore trasparenza, in particolare la pubblicazione della lettera di dimissioni della presidente e il contenuto delle assemblee del comitato esecutivo tra 2019 e 2020.
Questa raffica di dimissioni appare dovuta, infatti, al dibattito interno all’organizzazione riguardo la nuova definizione di museo, dibattito che da mesi, dal settembre 2019, ha smesso di essere pubblico ed è continuato all’interno dei comitati. Un dibattito decisivo per il futuro dei musei.
Facciamo un passo indietro. Il 25 luglio 2019 il consiglio direttivo di ICOM, dopo un percorso di consultazioni, presenta al mondo la proposta per la nuova definizione di museo, che avrebbe dovuto essere votata a Kyoto nel congresso successivo, il 7 settembre. La definizione in italiano suona così: “I musei sono spazi democratizzanti, inclusivi e polifonici per il dialogo critico sul passato e sul futuro. Riconoscendo e affrontando i conflitti e le sfide del presente, conservano reperti ed esemplari in custodia per la società, salvaguardano ricordi diversi per le generazioni future e garantiscono pari diritti e pari accesso al patrimonio per tutte le persone.
I musei non sono a scopo di lucro. Sono partecipativi e trasparenti e lavorano in partnership attiva con e per le diverse comunità al fine di raccogliere, preservare, ricercare, interpretare, esporre e migliorare la comprensione del mondo, con l’obiettivo di contribuire alla dignità umana e alla giustizia sociale, all’uguaglianza globale e al benessere planetario.”
Una definizione innovativa, molto diversa dalla precedente, datata 2007. Nuova definizione che prendeva il via dai dibattiti che avevano caratterizzato l’organizzazione negli anni precedenti e in particolare da un percorso avviato a Milano nel 2016.
Ma accade l’imprevisto: il 21 agosto 2019, 24 comitati nazionali di ICOM, sui 119 totali, prendono le distanze con forza dalla nuova definizione proposta, chiedendo di posticipare il voto di un anno. Tra questi ci sono quasi tutti quelli europei, compreso quello italiano, e poi quelli di Israele, Argentina e Iran. Di fatto quasi l’intero blocco europeo si pone in minoranza e opposizione all’interno dell’organizzazione.
Il 7 settembre, a Kyoto, viene posto ai voti il rinvio del voto sulla nuova definizione, e il 70% dei membri approva. La definizione dunque non viene bocciata, come erroneamente riportato da alcuni in questi giorni, ma il dibattito viene allungato, allargato e il voto posposto.
Nove mesi dopo, non abbiamo una data per un nuovo voto sulla definizione, non abbiamo una nuova proposta di definizione, ma abbiamo dimissioni di massa. Un terremoto, appunto, di cui ancora è difficile definire i contorni, dato che in ogni caso l’opposizione alla definizione di Kyoto arrivava da meno del 25% dei comitati nazionali (seppur da “pezzi da novanta” come Germania, Italia o Francia). E il fatto che il nuovo presidente, con evidente ruolo di “pacificatore”, sia italiano, appare un fatto rilevante, dato che il comitato italiano l’anno scorso è stato durissimo con la nuova definizione proposta.
Attendiamo di conoscere gli sviluppi e i dettagli di questa storia, per capire dove sta andando ICOM, e dove stanno andando i nostri musei.
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