In un’estate di grande difficoltà per il Paese, centinaia di migliaia ci cittadini si trovano privi delle loro biblioteche. Un disservizio che continua da anni.
Gli italiani si sono abituati, negli anni, a vivere alcune delle settimane più calde dell’estate privi delle loro biblioteche. Di norma nelle due settimane centrali di agosto le biblioteche, dalle più piccole alle più grandi, chiudono, con buona pace di tutti coloro che ne avevano bisogno, sia per motivi urgenti di lavoro e ricerca, sia perché a casa non hanno un luogo idoneo dove leggere o studiare. Una particolarità italiana, rispetto a tanti altri Paesi dell’Europa occidentale, dovuta a tanti motivi diversi ma soprattutto alla carenza di personale e all’inadeguatezza dei piani e degli investimenti. Una particolarità contro la quale si sono levate poche voci autorevoli in questi anni, tra le quali dobbiamo citare quella di Christian Raimo in un bell’articolo del 2015.
Pochi mesi fa, nel pieno della chiusura per l’emergenza sanitaria, Antonella Agnoli scriveva: “le biblioteche di conservazione sono forse mancate agli studiosi, ma delle biblioteche di pubblica lettura, quelle che in teoria si rivolgono a tutti i cittadini, chi ha sentito la mancanza? Probabilmente non molti: metà degli italiani ne ignorava addirittura l’esistenza o le utilizzava soltanto per il prestito dell’ultimo bestseller. La ragione è semplice: solo una minoranza delle nostre public libraries funzionava come avrebbe dovuto”. Oggi, nell’estate del 2020, questa situazione di disagio a cui siamo stati forzati a fare l’abitudine si ripresenta esponenzialmente più grave. A quasi due mesi da quando il governo ha dato il via libera alla riapertura delle biblioteche (e di tutti i luoghi della cultura), abbiamo una situazione a macchia di leopardo che definire deficitaria sarebbe un eufemismo: una minoranza di biblioteche ancora chiuse completamente, biblioteche che offrono solo il servizio prestito, biblioteche che offrono la consultazione solo per pochissime persone alla volta, e tanti altri casi diversi. Oltre ai servizi, variano anche le modalità per usufruire degli stessi: prenotazione telefonica, app, siti internet… Inutile dire che questa totale mancanza di coordinamento e chiarezza ha un impatto sull’utenza, che dal 18 maggio sperava e contava di ritrovare le proprie biblioteche e che invece è costretta a cercare giorno per giorno notizie sparse su varie fonti. E così le notizie delle limitate riaperture, quando ci sono, passano in sordina, e l’utenza meno affezionata e assidua si allontana sempre di più.
Una situazione dovuta a una mancanza di interesse e coordinamento ministeriale, che finisce per scaricare tutte le responsabilità sulle singole amministrazioni. E una situazione che non solo ha delle conseguenze sul personale – sono tantissimi i bibliotecari e gli operatori delle biblioteche che hanno perso o rischiano di perdere il lavoro -, ma è anche dovuta alla folle organizzazione del lavoro nelle biblioteche italiane: dipendenti pubblici affiancati da partite IVA, da dipendenti di cooperative, da volontari, stretti tra appalti in scadenza, ricatti, volontà di risparmiare sul costo del lavoro e tutto il resto.
Questo stesso caos, inutile dirlo, è frutto di una visione politica e della società: mentre la frequentazione di bar, discoteche, palestre, negozi, diventa sempre più facile, le biblioteche, come gli archivi, come tanti altri musei, teatri, e luoghi della cultura, restano off-limits in molti, troppi casi. Perché sono pubblici, perché non producono denaro in maniera diretta, perché sono considerate un costo, perché consentono un risparmio immediato.
Ma la chiusura o il disservizio bibliotecario, a cui siamo stati anno dopo anno abituati, ha dei costi ben precisi. A farne le spese, insieme a coloro che hanno nello studio e nelle lettura la loro principale occupazione, sono gli ultimi: chi non ha libri a casa, chi ha una casa troppo piccola, chi non ha un luogo silenzioso o idoneo dove poter studiare, chi non ha una connessione a internet. La chiusura amplifica e radicalizza le diseguaglianze e l’esclusione, e se non si agisce subito, i frutti avvelenati che sono stati piantati si raccoglieranno tra pochi anni.
Forse proprio perché questi disagi colpiscono solo in minima parte i ceti dirigenti, vengono facilmente ignorati, ricondotti al campo del superfluo e dell’irrilevante. Nulla di più falso. Le biblioteche sono spazi necessari per la democrazia, la diffusione della cultura e la socialità. Sono spazi di libertà e di inclusione: una società senza biblioteche è una società più povera e debole. E un’estate senza biblioteche grida vendetta.
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