Da quando è nata la nostra campagna ce l’avete detto in tanti, e lo sappiamo bene anche noi: il fatto che i professionisti dei beni culturali siano sfruttati, ignorati, vilipesi, malpagati, è colpa anzitutto di uno Stato che non produce le leggi necessarie, anzi che in prima persona alimenta un sistema dannoso e malato, facendo uso e abuso di volontariato e lavoro culturale sottopagato, ma lo Stato stesso non è l’unico responsabile. Per questo continuiamo a pretendere una netta discontinuità da parte delle politiche statali in materia di cultura, tutela del patrimonio storico e artistico e occupazione nel settore; allo stesso tempo, pensiamo che il tavolo possa saltare solo se vi sarà una ferma opposizione degli sfruttati, dei professionisti del settore, che invece troppo spesso accettano la situazione come male minore, legittimando di fatto il sistema.
Il problema è però da ricercare anche nell’approccio che troppo spesso assumono le diverse componenti del settore, a partire dai datori di lavoro che approfittano di un quadro di tutele fragile per risparmiare sul costo del lavoro. Ma anche in chi, pur lamentandosi, accetta ciò che gli viene offerto, per quanto vergognoso possa essere, sottovalutando il fatto che in questo modo crea danno a tutta la categoria, a se stesso e ai colleghi. D’altra parte vi è anche un altro responsabile, un sistema formativo e accademico che troppo spesso si piega all’utilizzo del lavoro gratuito post-laurea e che, sulla base dei dettami dell’Università-azienda, punta più a “sfornare” laureati che competenti professionisti, curandosi ben poco del futuro professionale dei formati; un sistema accademico che, oltretutto, ha accettato di buon grado che la selezione avvenisse molto più sulla base delle possibilità economiche e delle conoscenze personali piuttosto che sulla base delle competenze. Datori di lavoro (sia pubblici sia privati) e accademici in particolare hanno fatto sempre ben poco per difendere i diritti dei lavoratori e dei laureati del settore, divenendo complici – talvolta ignari, altre volte perché interessati a sfruttare manodopera qualificata e abbassare il costo del lavoro – della disastrosa situazione attuale.
Per questo si rende necessario un codice etico che rappresenti un vero e proprio patto tra professionisti, datori di lavoro e accademici (o responsabili della formazione) del settore, fondamentale per poter rompere questo meccanismo.
INDICE:
I. Perché un Patto per il lavoro culturale?
III. Impegni tra le parti
III.I Accademici, professori e formatori
III.II Professionisti e aspiranti tali
III.III Datori di lavoro e committenti
III.IV E infine… per tutti i cittadini
È possibile sottoscrivere il patto mediante l’apposito modulo di sottoscrizione presente in ogni sezione del documento, oppure mandando una mail all’indirizzo miriconosci.beniculturali@gmail, allegando il modulo di sottoscrizione compilato (modulo-sottoscrizione-plac).
Clicca qui per scaricare il pdf completo! PLaC
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