In un bando dell’11 dicembre il Ministero dei Beni Culturali cerca 40 lavoratori specializzati per occuparsi di digitalizzazione, inquadrandoli come tirocinanti.
Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, cantava Antonello Venditti. Questo è il caso dell’amore dei dirigenti del Ministero dei Beni Culturali per i “tirocini formativi” che di formativo non hanno nulla, ma che si configurano come prestazione professionale specializzata e sottopagata.
Era il 2013 quando il MiBACT decideva di assumere “500 giovani per la cultura” per supplire alle proprie carenze di personale, di fatto dei lavoratori specializzati inquadrati come tirocinanti e usati a tutti gli effetti come tappabuchi temporanei. Da allora il Ministero ha preferito optare per l’utilizzo del servizio civile, che peraltro permetteva di pagare ancor meno i lavoratori e di “mascherarli” da giovani volontari. Ma vuoi per le frequenti denunce, vuoi per lo stop ai concorsi pubblici dovuto all’assenza di piani che consentano di svolgerli da remoto, vuoi perché si è scorta l’opportunità di utilizzare fondi europei pensati per altro, questo dicembre il Ministero torna a cercare tirocinanti per compiti specializzati: e non per compiti qualunque, ma per la digitalizzazione, il fiore all’occhiello del supposto piano del Ministero per affrontare la crisi. Avevamo già spiegato come non fosse affatto chiaro chi avrebbe dovuto occuparsi del massiccio piano di digitalizzazione dal costo di miliardi di euro che il MiBACT preventivava, data la carenza di figure specifiche negli organici ministeriali. Ora è chiaro che se ne occuperanno, tra gli altri, 40 tirocinanti sottopagati.
Il bando pubblicato l’11 dicembre dalla Direzione Generale Educazione e Ricerca lascia esterrefatti. La selezione per “tirocini formativi e di orientamento per 40 giovani fino a ventinove anni di età”, infatti, appare molto lontana dalla selezione per un tirocinio formativo. Per partecipare è necessaria una laurea in archivistica e biblioteconomia o diploma nello stesso settore, ma non basta: vengono valutati, al fine della selezione, titoli di studio post-universitari (fino a 20 punti); dottorato di ricerca nel campo (30 punti); tirocini e collaborazioni col ministero (fino a 20 punti); e infine pubblicazioni scientifiche (fino a 20 punti). Insomma, si selezionano profili professionali ultraspecializzati per un lavoro altamente specializzato. In tutto questo il limite “fino a 29 anni di età” sembra entrarci come i cavoli a merenda, e in effetti appare soltanto un escamotage utile a utilizzare i fondi europei per l’occupazione dei giovani: peccato che qui non ci sarà nessuna occupazione, come già accaduto in passato, questi giovani lavoratori, una volta appreso nel dettaglio un mestiere necessario al funzionamento del MiBACT, verranno scaricati per strada senza alcun tipo di logica e pianificazione.
Questi “tirocinanti” verranno pagati 1000 euro lordi per sei mesi. E sappiamo che questa cifra, troppo bassa per il livello di specializzazione richiesta, spingerà comunque moltissime e moltissimi a fare domanda: purtroppo oggi per un under 29 in Italia è difficile trovare di meglio nel settore. Ma nel caso di questo bando non è la retribuzione il vero problema, è il quadro che ne emerge. Un Ministero che pianifica di spendere miliardi senza avere il personale che possa svolgere i compiti necessari, e che, nella più totale assenza di pianificazione, usa o meglio abusa di fondi europei per attivare tirocini tappabuchi giusto per passare la nottata o, peggio, arricchire aziende esterne. Il tutto sulla pelle di tante e tanti giovani professionisti che vedono la propria dignità svilita e ridicolizzata dall’istituzione che dovrebbe tutelarli. Se di dignità ne avete almeno un po’, ritirate quel bando: abbiamo bisogno di un piano, di una visione, non di sfruttamento. Non ora.
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