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Nella mattinata di ieri, 2 marzo 2021, si è tenuto online il primo appuntamento del Tavolo permanente per i lavoratori dei musei, degli archivi e delle biblioteche istituito dal Ministero della Cultura, creato con lo scopo di esaminare “le problematiche connesse all’emergenza da COVID-19 nel settore di competenza” e valutare “l’adozione delle opportune iniziative relative alle misure per far fronte ai danni diretti e indiretti derivanti dall’emergenza sanitaria, con particolare riguardo alla tutela dei lavoratori.” Di seguito riportiamo il testo del nostro intervento, preceduto da alcune informazioni di contesto.

Il tavolo era presieduto dal direttore e le direttrici delle tre direzioni generali Massimo Osanna (dg Musei), Anna Maria Buzzi (dg Archivi), Paola Passarelli (dg Biblioteche). L’incontro ha avuto inizio alle ore 10 circa ed erano connesse oltre 90 persone. La fine dei lavori era prevista per le ore 12.00 ma l’incontro si è chiuso alle 15.25, con oltre due ore di ritardo. Dopo i saluti introduttivi è stato lasciato spazio ai portavoce dei sindacati e associazioni di categoria, si sono susseguiti circa 35 interventi della durata di 5 minuti (almeno), ed è stata data la possibilità di prendere parola pressoché a chiunque lo richiedesse, anche al momento. Al tavolo hanno preso parte realtà provenienti da mondi diversi e che portavano avanti nel settore dei beni culturali interessi differenti come sigle sindacali di lavoratori precari, dirigenti di grandi imprese culturali, piccole e grandi associazioni nazionali di categoria, piccole sigle sindacali e i confederali, organizzazioni rappresentative delle imprese, ONLUS… Ad ognuno è stato richiesto di indicare velocemente problematiche ed eventuali proposte per superare le difficoltà di questo periodo. L’intento da parte degli organizzatori è quello di far nascere tavoli tematici più raccolti e operativi, probabilmente si creerà un tavolo rivolto alle imprese culturali (richiesto da molti dei presenti), ma non è chiaro come riusciranno ad accogliere le varie richieste e coniugare le esigenze di ogni realtà partecipante, e fin dove questi nascenti tavoli potranno spingersi con nuovi interventi operativi e strutturali. Queste solo le nostre più grandi perplessità, al termine di 5 ore e mezza di tavolo. Nonostante i pochi minuti messi a disposizione e non poche difficoltà per richiedere parola abbiamo presentato proprio questi dubbi senza però avere nessuna risposta, almeno per ora.

Segue il testo del nostro intervento:

L’associazione Mi Riconosci ha l’esigenza primaria di capire verso quale direzione andranno i lavori di questo tavolo e se, già da questo primo incontro con i responsabili delle DG e le associazioni coinvolte, si metteranno le basi per portare avanti proposte concrete, per non tornare alla situazione precedente. Lo scoppio dell’emergenza sanitaria causata dal COVID non ha fatto altro che rendere ancora più evidenti problemi che affliggono il settore da oltre 30 anni e che noi dell’associazione Mi Riconosci quotidianamente denunciamo da diverso tempo.

La situazione precedente a un anno fa era a dir poco disastrosa, ha portato nei nostri luoghi della cultura lavoro povero diffuso come i dati della nostra inchiesta del 2019 hanno dimostrato: il 63% dei lavoratori che ha risposto alla nostra inchiesta ha dichiarato di guadagnare meno di 10 mila euro l’anno, metà dei lavoratori guadagnava meno di 8 euro l’ora, l’11,5% meno di 4 euro l’ora, il contratto Federculture era applicato pochissimo, solo nell’8% dei casi. Sono cifre queste che parlano da sole.

Il sistema che ha regolato e dominato il settore culturale (e non solo) in questi trent’anni, basato sulle esternalizzazioni, ha dimostrato ampiamente di aver fallito, non ha portato un risparmio ma perdite per le casse dello Stato e condizioni di sfruttamento per i lavoratori e lavoratrici oltre che una perdita della qualità dei servizi. 

Negli ultimi anni, dal 2017 per la precisione, si è istituzionalizzato il volontariato  nel settore dei beni culturali ampliandone i numeri, utilizzato come espediente per ovviare alle carenze di personale nei musei, archivi e biblioteche (a 1 dipendente regolarmente assunto corrispondono 67 volontari).

Diventa ora indispensabile fermarsi, prendersi del tempo per ripensare il tutto, ed esempio: valutare un piano di internalizzazione di tutti quei servizi essenziali per il normale svolgimento delle attività di ogni istituto; smettere di finanziare soggetti privati e fondazioni che non garantiscono i servizi essenziali ai pubblici; scegliere di non sostenere tutte quelle realtà private che non sono in grado di garantire occupazione e vantaggi per la collettività.

Noi una proposta per il futuro l’abbiamo già presentata pubblicamente mesi fa (ad aprile dello scorso anno) ed è il Sistema Culturale Nazionale. Abbiamo pensato come cambiare approccio e prospettiva sia salutare e necessario. Nel pratico, il Sistema Culturale Nazionale non dissimile dal Servizio Sanitario Nazionale, si basa sull’istituzione di standard minimi e livelli essenziali. Standard che potranno riguardare ad esempio: professionalità minime impiegate; condizioni di lavoro e contratti; obiettivi culturali per la comunità e responsabilità etiche; accessibilità diffusa attraverso aperture e fruizioni ragionate al servizio della comunità; garanzie per la tutela, la catalogazione e la ricerca; sviluppo e crescita dell’impatto sociale e dell’inclusione.

È passato un anno, si sono già persi 12 lunghi mesi per riformare il sistema. Serve oggi tornare a ripensare il patrimonio al servizio delle comunità, prendersi cura di tutto il patrimonio diffuso, pensare alle piccole realtà e non solo i principali musei oggetto dell’ultima riforma del ministero, per mettere al centro la costruzione di un senso di appartenenza e di incentivare una frequentazione turistica sostenibile che portino conoscenza e benessere sui territori e per i territori. Ogni aspetto, dalle mostre, ai servizi informatici e digitali, al turismo, dove essere pianificato e coordinato, nonché portato avanti in maniera collaborativa e funzionale al sistema e alla cittadinanza tutta. Diventa quindi necessario tralasciare logiche di mercato. 

Chiudo dicendo che il futuro del patrimonio culturale italiano e delle lavoratrici e dei lavoratori non può e non deve somigliare al passato recente. Bisogna lavorare per evitare di ritornare alla normalità, ora, perché la normalità era il problema! Ci aspettiamo un cambio strutturale in tal senso. 

Se questi saranno i presupposti, noi siamo a disposizione.

Grazie per l’attenzione.


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