Tutti i lavoratori dei servizi “aggiuntivi” della Pinacoteca di Brera rischiano il lavoro, ma il direttore Bradburne si ostina a non spiegare cosa stia accadendo.
Dopo tre mesi di lockdown il 9 giugno la Pinacoteca di Brera ha riaperto le porte ai visitatori, con tre settimane di ritardo rispetto al via libera ministeriale previsto per il giorno 18 maggio. Le nuove regole e relativi protocolli sanitari avranno certamente inciso sul ritardo, ma i problemi maggiori non sono legati alla sicurezza o al contenimento del contagio
La riapertura del grande museo milanese ha lasciato a casa, senza lavoro e notizie certe sul proprio futuro, 16 lavoratori dei servizi aggiuntivi tra cui biglietteria, bookshop che da diversi anni sono impiegati in servizi essenziali dati in concessione a due grandi società private, Vivaticket e la casa editrice Skira. Anche in questo caso i ritardi nella riapertura sono imputabili alla carenza di personale, come abbiamo anche denunciato in questo nostro articolo, annosa questione presente a Brera prima ancora che giungesse l’emergenza sanitaria. Questi lavoratori sono bloccati a causa della mancata proroga al servizio, scaduta il 5 maggio, in pieno lockdown, “sfortunata collisione tra la crisi COVID e scadenza della concessione dei servizi aggiuntivi” l’ha definita il direttore James Bradburne. La Pinacoteca di Brera ha deciso di offrire l’ingresso gratuito ai visitatori e l’obbligo di prenotazione online, risolvendo ogni problema di biglietteria. Il direttore James Bradburne ha motivato questa scelta affermando: “la gratuità è un nostro modo per dire grazie alla città, di esserle riconoscenti” ma il sostegno a chi ha lavorato per il suo museo stenta ad arrivare forte e chiaro. Anzi, il direttore ha dichiarato di sostenere i loro diritti ma che di fatto non sono dipendenti del museo.
La realtà è ben diversa. Ne abbiamo parlato di quello che è accaduto in questi giorni e delle condizioni degli appalti con Smeralda, lavoratrice esternalizzata che dal 2007 lavora nei bookshop museali e delle mostre d’arte prima in Veneto e poi in Lombardia a Milano, dal 2008 per Skira Editore.
1) I servizi aggiuntivi della Pinacoteca di Brera, prima del 2017 e per ben dieci anni, erano uniti in un unico appalto con il Cenacolo, questa scissione ha creato molti problemi a voi lavoratori. Ci racconti cos’è successo? Da quanto tempo lavori per questi due musei e come sei inquadrata?
Dal 2017 ho un contratto a tempo indeterminato ottenuto in seguito ad azioni sindacali, mentre dal 2007 fino al 2013 ho lavorato con contratti a progetto e collaborazioni occasionali nonostante fosse un lavoro impiegatizio. Dal 2013, quando mi sono trasferita a Milano, fino al 2017 avevo un contratto a tempo determinato che veniva chiuso e riaperto per le mostre d’arte a Palazzo Reale e rinnovato di 4 mesi in 4 mesi da quando nel 2015 ho iniziato a lavorare nei musei di Cenacolo e Brera con un posto fisso. La nostra condizione è molto complessa, perché sulla base del vecchio appalto noi abbiamo un contratto di lavoro su entrambi i musei, ma dal 2017 i due musei hanno avviato le gare d’appalto separatamente. È accaduto che la gara d’appalto per i servizi aggiuntivi del Cenacolo è già stata aggiudicata, ma quella avviata per la Pinacoteca di Brera ancora no. Quindi, alcuni di noi sono rimasti in sospeso al momento della riapertura.
2) Il 9 giugno ha riaperto Brera e anche il Cenacolo. Voi lavoratori esternalizzati ancora non siete stati informati su quando tornerete a lavoro?
Al Cenacolo il bookshop non riapre ed ancora non si sa quando torneremo a lavoro. La biglietteria ha riaperto, ma a turno unico, significa che le lavoratrici e i lavoratori faranno pochissimi turni a settimana, lo stesso accadrà per i lavoratori del bookshop quando rientreranno. La cassa integrazione per il Covid con il nuovo decreto sarà sospesa tra metà giugno fino a fine agosto, quindi non ci sarà stipendio. Noi del bookshop potremo fortunatamente usufruire della cassa integrazione ordinaria, la biglietteria purtroppo sembra di no.
A Brera l’ATI (Associazione Temporanea di Imprese), che aveva in appalto i servizi aggiuntivi, bookshop, biglietteria e guide, ha deciso di non firmare la terza o quarta proroga dell’appalto che è scaduta il 5 maggio. La gara per il nuovo appalto è rimasta sospesa a causa dell’emergenza Covid, quindi ad oggi non si ha il nuovo concessionario e non si sa quando subentrerà, perché oltre ai tempi di aggiudicazione della gara ci sono i tempi dei ricorsi e si può anche aspettare un anno per il subentro. Quindi tutti i lavoratori delle ATI di Brera slittano sul Cenacolo dove è attivo lo stesso appalto al momento, fino a settembre, quando entrerà il nuovo concessionario, che ha già assorbito una parte di lavoratori del vecchio appalto, mentre quelli di Brera resteranno disoccupati.
3) Come avete vissuto questo periodo di lockdown, quali preoccupazioni e conseguenze lavorative avete avuto come lavoratori esternalizzati?
Il problema principale è stato il pagamento della cassa integrazione, in particolare l’azienda si era impegnata in un accordo sindacale firmato a marzo ad anticipare la cassa se l’Inps avesse ritardato. Quando è stato il momento si è tirata indietro non comunicando niente ai dipendenti. Solo tramite una richiesta sindacale ha risposto dicendo che a causa di problemi economici non potevano pagare le casse in anticipo. Al momento non sono ancora arrivate.
4) Quali problemi avete avuto in questi anni e perché non funziona il sistema delle esternalizzazioni?
I problemi da me riscontrati, dopo anni di precariato nei bookshop museali e delle mostre, riguardano innanzitutto l’uso della manodopera lavorativa in questo settore che non garantisce un corretto contratto di lavoro, la regolarizzazione e una stabilità. Per anni infatti ho lavorato con un contratto a progetto, che viene solitamente fatto per il lavoro autonomo. Svolgendo un lavoro non autonomo, quindi con orari prefissati, senza malattia, ferie, permessi, maggiorazioni per lavoro festivo, noi lavoriamo la domenica e i festivi, senza straordinari e con una paga di 5 euro l’ora circa. Inoltre, siamo tendenzialmente sempre sotto personale gestendo una turnazione anche con aperture fino alle 22.30. Quando lavoravo da precaria, non era prevista nemmeno la pausa pranzo, si lavorava in turno da soli anche 10 ore di fila. La maggiorazione turno che nei contratti regolari deve essere inserita, non appare e non viene pagata, ovviamente quando avevo il contratto a progetto non era nemmeno contemplata. Negli ultimi anni la situazione è anche peggiorata perché con il rinnovo della legge sul lavoro le aziende tengono i lavoratori solo per un anno e poi li lasciano a casa per non fargli un contratto a tempo indeterminato che sarebbe obbligatorio dopo un anno, anche laddove le strutture dei bookshop sono fisse e quindi il posto di lavoro c’è. È come se lavorare in un bookshop, in italiano la libreria del museo o delle mostre d’arte, non sia considerata una professione e la formazione, la qualità del lavoro, sono sacrificate in nome del fare economia sul costo del lavoro. Noi di fatto siamo lavoratori appaltati ai musei e alle mostre tramite i concessionari, ma siamo a tutti gli effetti lavoratori delle strutture museali statali e comunali le quali fanno economia sul nostro lavoro facendoci pagare da altri. Essendo lavoratori di queste strutture non dovremmo essere vincolati agli appalti o meglio ad appalti che cercano ogni volta di far saltare le clausole sociali che prevedono il riassorbimento di tutto il personale preesistente. Queste clausole infatti ad ogni cambio di appalto devono essere difese e fatte inserire, nonostante siano previste dalla legislazione, perché in nome della difesa della libertà di impresa e della concorrenza si cerca sempre di raggirarle o cancellarle. Il lavoro e la sua tutela non riguardano e non devono riguardare la libertà di impresa, chi dovrebbe tutelare questi lavoratori sono in primis il ministero e il comune che si avvalgono di manodopera appaltata.
5) Il direttore Bradburne dice di avervi sostenuto con tutte le sue forze, ma ha dichiarato: “i lavoratori dei concessionari non lavorano e non hanno mai lavorato per Brea, non sono miei dipendenti” e che nel mondo post Covid non ci sarà più bisogno della biglietteria, tutto per ora sarà gestito online. Come risuonano le sue parole rilasciate lunedì 8 giugno in un’intervista su Cult, programma di Radio Popolare? I problemi di gestione sembrano nascondersi dietro l’emergenza sanitaria?
Abbiamo sentito quell’intervista dove il Direttore ha detto di voler sostenere la situazione di noi lavoratori dei servizi aggiuntivi di Brera, ma che lui non può farci nulla non essendo suoi lavoratori né di Brera e così non ci sostiene affatto. Noi abbiamo permesso al museo tramite le vendite di biglietti e libri di incassare soldi, abbiamo organizzato le entrate delle persone, dato informazioni, accolto i visitatori, abbiamo tenuto aperto il museo esattamente come i lavoratori statali e c’è chi tra noi l’ha fatto per vent’anni. L’unica differenza tra noi e i lavoratori statali è il datore di lavoro e la retribuzione salariale, ma siamo tutti lavoratori del museo, tutti contribuiamo alla vita del museo. Noi siamo quindi professionisti dei servizi museali e non solo i lavoratori dei servizi aggiuntivi. Quindi, il direttore Bradburne, commette un grave errore nel dire che non siamo lavoratori di Brera, lo siamo, e il ministero e il museo devono tutelarci esattamente come se fossimo lavoratori statali. La grave situazione che si è creata per noi lavoratori di Brera, tutti ultra quarantenni che non hanno certo prospettive rosee di trovare lavoro in generale e soprattutto in un momento di crisi come questo, è responsabilità del museo e dei concessionari, entrambi sono chiamati a porvi rimedio.
Bradburne non ci sostiene dicendo che Brera è stata aperta gratuitamente per fare un regalo agli abitanti di Milano ed ai visitatori perché in verità l’entrata è gratuita perché non ci sono più i lavoratori della biglietteria e la gente non potrà usufruire dell’offerta culturale della libreria perché è chiusa. Se avesse voluto davvero sostenerci doveva semplicemente dire nelle interviste rilasciate ovunque che Brera sarà gratuita perché non ci sono più i servizi aggiuntivi che quindi sono servizi essenziali e non un’aggiunta in quanto la loro mancanza recherà sicuramente un danno economico e culturale al museo e allo Stato, oppure no?
Quando dice che la biglietteria forse non aprirà più non si capisce esattamente a cosa alluda, ma veramente credono di poter gestire le entrate di un museo solo con le biglietterie online, non tenendo conto dei problemi organizzativi che le biglietterie risolvono in loco ogni giorno nonostante già esistano e siano attive le biglietterie online?
Infine, il compito dello Stato è tutelare il lavoro essendo noi una Repubblica fondata sul lavoro, quindi il direttore di un museo statale non può permettersi di dire che non siamo suoi lavoratori, poiché siamo lavoratori che lo Stato ha deciso di appaltare deve quindi tutelarci, senza se e senza ma. Il sistema delle concessioni non può a mio parere prescindere da questo
6) Quali vertenze state portando avanti con i sindacati?
Al momento i nostri rappresentanti sindacali puntano sul rispetto della clausola sociale inserita nel bando che prevede il completo riassorbimento di tutti i lavoratori e le lavoratrici dei servizi uscenti a Brera. Stiamo organizzando un sit in davanti la Pinacoteca Brera per il 17 giugno alle 11.00.
Ringraziando Smeralda, chiediamo a chi legge di sostenere la lotta di questi lavoratori, e di chiedersi se un sistema museale così abbia senso di continuare ad esistere.
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