In questa lettera indirizzata al comune di Bologna e scritta insieme ad altre realtà locali, spieghiamo perché il volontariato culturale non funziona: la cultura è essenziale e il lavoro va sempre pagato.
Alla Città e a chi la governa
Siamo lavoratrici e lavoratori dei beni culturali: siamo archeologi, antropologi, bibliotecari, docenti, operatori museali, guide turistiche, operatori culturali e tanto altro ancora. In questi anni, insieme a “Mi Riconosci? Sono un professionista dei Beni Culturali”, abbiamo lottato per il riconoscimento della dignità del nostro lavoro sottolineando come chi lavora nel settore culturale svolge un servizio fondamentale, anche se spesso viene posto ai margini, con condizioni contrattuali umilianti.
Nonostante i richiami alla solidarietà e all’unità nazionale a cui abbiamo prestato ascolto, la nostra condizione è persino peggiorata in questi mesi.
I luoghi della cultura, quali musei, gallerie, teatri ecc… non solo sono stati tra i primi a dover chiudere per il lockdown, spesso senza neanche riuscire a garantire una continuità di reddito ai lavoratori del settore, ma ad oggi non vi sono neanche prospettive certe per il futuro. Così, se da un lato il governo nazionale e regionale si affretta a far ripartire ad ogni costo le fabbriche e i luoghi della produzione – essenziale o meno -, dall’altro la cultura spesso non viene neanche menzionata. Il rischio che vediamo, dunque, è quello di ritrovarci tutti più poveri dopo questa pandemia. Questo non solo per noi e per il lavoro che non c’è, per i ritardi su questo settore che inevitabilmente porteranno a competere e perdere tante competenze che – in mancanza di alternative – saranno costrette a guardare ad altro, ma anche perché una città che non si preoccupa di rendere più accessibili i luoghi della propria cultura e memoria non può che essere una città più povera per tutti.
Eppure in questi ultimi anni il patrimonio culturale che abbiamo contribuito a proteggere e a valorizzare è stato in più occasione sbandierato da questa amministrazione, seppur troppo spesso come esca per uno sviluppo economico, incardinato sul turismo e sul consumismo della ‘Città del Cibo’, di cui oggi vediamo esplodere tutte le fragilità. Una ricetta già vista e già dimostratasi fallimentare.
Abbiamo letto che la sua idea per la “ripartenza” della cultura e del turismo cittadino fa capo, ancora una volta, all’utilizzo del volontariato, un sistema che noi lavoratori del settore ben conosciamo, dato che ne facciamo le spese da oltre 25 anni. Dopo che l’intero sistema culturale basato su precariato e volontariato è crollato, in pochi giorni, lasciando migliaia di emiliani e bolognesi senza lavoro e senza reddito, in un momento in cui a Bologna la situazione della cultura è precaria e tante istituzioni culturali non sono in grado di offrire un servizio adeguato, leggere un messaggio simile ci lascia senza parole. Ci colpisce la volontà di non interrogarsi sulla condizione di marginalizzazione e umiliazione del nostro settore e delle nostre professionalità.
Sì, perché il volontariato culturale e il lavoro al massimo risparmio non sono una novità a Bologna. Cooperative o associazioni di volontariato, che molto spesso non garantiscono un salario accettabile, gestiscono gran parte di biblioteche e musei, civici e non. Custodi pensionati gestiti da Auser sono presenti sia in biblioteca Salaborsa sia in Pinacoteca Nazionale. Persino nei musei afferenti al Sistema Museale d’Ateneo – gestito da UniBo – vi sono lavoratrici e lavoratori esternalizzati con contratti umilianti, per non parlare del largo impiego di studenti tirocinanti o che svolgono il servizio delle 150 ore.
Ricordiamo con tanta amarezza quando nel 2019 uscì la notizia sui giornali di un nuovo concorso per il settore cultura a Bologna, un concorso che non si è mai svolto. Eravamo così contenti, forse qualcosa si stava muovendo, e invece no, l’ennesima mossa propagandistica per celare la mal-gestione del settore cultura Bologna. Le nuove assunzioni sono un’enorme nube nera. A tre mesi dall’esplosione della crisi, si propone una cosa che affosserebbe qualsiasi speranza di ripresa dell’occupazione del settore e di rilancio culturale della città, puntando solo al risparmio più estremo sulla pelle dei lavoratori più deboli. Una ricetta già vista e già dimostratasi fallimentare.
Lo diciamo chiaramente: questo non è volontariato, ma lavoro non pagato, o pagato pochissimo. Non possiamo più permetterci di ignorare cosa sia diventato il volontariato nel settore culturale, uno strumento oppressivo e di compressione dei salari, che sfrutta i sogni di migliaia di giovani che aspirano a lavorare nel settore. Per questo non possiamo accettare che neanche per un minuto l’emergenza della pandemia diventi un’ulteriore occasione per alimentare la squallida pratica del lavoro gratuito. Da ormai tre mesi musei, archivi, biblioteche, parchi archeologici e naturali sono ancora chiusi o con servizi molto ridotti, centinaia di migliaia di lavoratori rischiano di perdere il posto per sempre o lo hanno già perso. La condizione dei lavoratori e degli operatori culturali era drammatica già prima dello scoppio della pandemia, ma le istituzioni – sia a livello nazionale che locale – non sembrano accorgersene. Il Ministero stesso ignora bellamente ogni disperata richiesta d’attenzione, mentre la Regione appare interessata soltanto ai destini delle proprie industrie. Questa crisi, di cui tutti ormai comprendiamo l’immensa portata, pretende dalle istituzioni una risposta seria e sistematica, non una toppa mal cucita come quella del lavoro gratuito.
Chiusura o volontari, dunque. È questa l’unica alternativa a cui ha pensato l’amministrazione bolognese? Noi crediamo di no. Noi crediamo che un’alternativa sia possibile, che la Cultura rappresenti un valore e sia un diritto fondamentale. Per la cittadinanza, infatti, essere privati della Cultura in un momento tanto delicato può avere conseguenze disastrose, facendo aumentare le diseguaglianze e l’esclusione sociale, mettendo a rischio le nostre comunità e la nostra democrazia. Un rischio inutile, che stiamo correndo solo per la ferma volontà di risparmiare senza alcuna lungimiranza o logica.
Molti di noi in questi mesi sono stati impegnati nel volontariato delle molte realtà mutualistiche che sono sorte spontaneamente in città. E’ proprio la passione con cui ci siamo impegnati nella cura delle nostre comunità e il rispetto che portiamo nei confronti di queste esperienze a portarci a dire che non possiamo più tollerare gli appelli al lavoro gratuito. L’abuso del volontariato da troppo tempo sta conducendo il settore culturale a un rapido declino, impedendogli di svolgere un ruolo attivo nella vita cittadina. Ci sentiamo dunque di sfidare questa amministrazione, che pure in diversi momenti ha mostrato attenzione nei confronti dei diritti di chi lavora, a fare scelte controcorrente. Perché invece di continuare a proporre formule scadute come quella del lavoro gratuito, non si riconosca la cultura come un diritto fondamentale di tutti i cittadini, a partire proprio dal garantire i diritti dei propri lavoratori? Perché non ci si occupa dei diritti dei propri cittadini costruendo un dialogo con chi opera nel settore e impiegando le loro professionalità per innovare il settore culturale di Bologna invece di sminuirle?
Se è questa la normalità a cui si vuol tornare, allora è la normalità ad essere il problema: un problema enorme non solo per noi, ma per tutto il Paese. Il 27 maggio, giorno in cui manifesteremo come lavoratori della cultura in tutta italia, anche a Bologna diremo chiaramente: senza Cultura, nessun Futuro.
#nonpernoimapertutti #senzaculturanessunfuturo
Mi Riconosci? Sono un professionista dei Beni Culturali – Bologna
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