Problemi degli archivi pubblici italiani: professionisti in balìa di aperture limitate, servizi sospesi e mancanza di personale. Un focus sulle aree interne del centro Italia.
Siete archeologi a partita iva. Da anni, ogni volta che dovete consultare l’archivio di un ente locale, in azienda regna un gran senso di sfiducia. Perché già sapete che in archivio non avrete il supporto fondamentale di un archivista. Oppure siete geometri, avete in mano per la prima volta una pratica edilizia complessa ed urgente e il catasto vi chiude la porta in faccia: è accessibile solamente online. Vi state per laureare in architettura, e il fondo archivistico che vi accingete a studiare non è stato mai inventariato. Intanto iniziate a cercare i disegni della chiesa sulla quale avete buone speranze di lavorare. La laurea, però, slitta di almeno due mesi.
Queste sono solo alcune delle difficoltà che l’attuale situazione degli archivi pubblici propone ai professionisti, da noi raccolte. A dieci anni esatti dalla manifestazione “E poi non rimase nessuno”, che già nel 2011 evidenziava carenze di personale negli archivi e mancanza di turnover, la realtà di oggi si presenta ancora più grave, e per di più inasprita dalla pandemia. In questo breve articolo utilizzeremo, come caso studio, la situazione della parte adriatica dell’Italia centrale.
Scosse e carenze
Le “aree interne” del centro Italia sono ancora in ricostruzione dopo il terremoto del 2016 e sono caratterizzate da un ricco patrimonio archeologico, medievale e moderno, in attesa di essere studiato e valorizzato. Queste due problematiche, studio e valorizzazione, esigerebbero un grande rafforzamento dei servizi offerti dagli archivi pubblici, dato che entrambe necessitano di documentazione (fruibile) per essere affrontate. Tutta la filiera dell’edilizia e del restauro, infatti, è un settore che subisce in modo particolare gli intoppi del sistema archivistico e della burocrazia in generale. Il caso dell’Italia centrale è l’esempio lampante di come stiamo perdendo una sfida con il futuro: perché non si può parlare di futuro senza parlare di patrimonio culturale, messo in rete con il mondo delle professioni. Temi di cui avevamo parlato anche a maggio, in una lettera aperta, esprimendoci anche sui fondi del Pnrr: ma non si è registrata alcuna inversione di tendenza
Se parliamo degli Archivi di Stato, vediamo come la mancanza di personale abbia ristretto o sospeso gli orari di apertura e i servizi al pubblico. L’Archivio di Stato di Chieti, per esempio, si trova costretto ad aprire solo di mattina tre volte a settimana e a dover sospendere le ricerche per corrispondenza, mentre la sezione di Lanciano apre soltanto un’ora a settimana. Ad Arezzo può accedere in sala studio solamente un utente al giorno. Ad Orvieto, per garantire i servizi minimi in vista dei prossimi pensionamenti, è stata necessaria una “cordata” tra il Ministero della Cultura e altri quattro enti cittadini, che finalmente ha permesso di selezionare e assumere un archivista.
Archivi più grandi, come quelli di Perugia e L’Aquila, ma anche di Frosinone e Grosseto, fanno apertura al pubblico soltanto di mattina. L’Archivio di Stato di Macerata permette le visure catastali solo in casi di urgenza. Chi volesse prenotarsi per accedere più volte nella stessa settimana non può farlo. Anche la sezione di Archivio di Stato di Camerino, afferente a Macerata, sta vivendo un destino simile a quello di Orvieto: dopo una breve chiusura totale, permetterà la consultazione del materiale archivistico solo un giorno a settimana, con l’aiuto di personale esterno. Dai siti internet di questi istituti si evince che, in questi e in altri casi, le ricerche storiche rimangono svantaggiate rispetto a quelle amministrative, anche queste già ridotte all’essenziale.
E poi ci sono gli archivi comunali, non meno importanti. Si sa che i piccoli comuni di Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Molise utilizzano forme associate e consorziali per garantire servizi come trasporti, scuole, polizia locale eccetera. Questo per rientrare nei vincoli di spesa dell’ex Patto di Stabilità. Per gli archivi raramente è stato fatto lo stesso, vuoi per poca attenzione, vuoi perché l’utenza degli istituti è limitata nei numeri e non garantisce consenso elettorale. Ma così i comuni e le province si trovano spesso senza personale qualificato per garantire fruizione e tutela, mentre gli archivisti del luogo finiscono per emigrare o cambiare lavoro. Una progettualità condivisa, invece, permetterebbe a chi conosce il territorio, la sua storia e istituzioni di restare a viverci, prendendo servizio in una rete di piccoli archivi. Un servizio che può essere molto utile al rilancio di un comprensorio di piccoli comuni.
Una riflessione di fondo
Con questa piccola inchiesta abbiamo voluto in primo luogo rendere pubbliche le problematiche che l’attuale situazione degli archivi crea al mondo del lavoro. Va da sé che questi problemi si ripercuotono anche nel funzionamento di tutto lo Stato, che non può vivere senza il supporto giuridico, tecnico, normativo e identitario degli archivi. Problemi ancora più grandi, che qui non trattiamo, si profilano se guardiamo al ruolo sociale e di memoria che hanno gli archivi, scrigni in cui si conservano le testimonianze della nostra identità: gli archivi, attraverso lo strumento sublime della tutela, sono i custodi del nostro passato, i garanti della storia del Paese, i maestri della nostra vita civile. Limitarne l’accesso e il funzionamento significa limitare anche i nostri diritti.
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