Lo avevamo accennato, lo avevamo preannunciato: il nostro collettivo avrebbe elaborato una proposta di riforma del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. Avevamo spiegato anche il perchè, ma in questi giorni in cui abbiamo annunciato la pubblicazione e le primissime anticipazioni, ci sembra di aver percepito un po’ di confusione e spaesamento tra voi che ci seguite. Possiamo ben capirlo, una proposta del genere non è qualcosa che si vede tutti i giorni, è molto diverso e molto più ambizioso rispetto alle battaglie di denuncia e controinformazione su cui più spesso ci concentriamo. E all’interno del nostro stesso gruppo decidere di intraprendere un percorso simile non è stato affatto semplice: perché conoscevamo i rischi, perché conoscevamo le difficoltà connesse, e perché sapevamo quanto sarebbe stato difficile spiegare un atto simile. Lo abbiamo fatto “solo” perché lo abbiamo percepito come un atto necessario, e per tutti coloro che in questi giorni si chiedono il perché, eccoci a riassumerlo brevemente.
La decisione di scrivere una proposta di riforma del Codice dei Beni Culturali, proprio ora, proprio adesso, nasce da un’urgenza politica. Il Governo ha in mano una legge delega che gli consente di modificare per decreto il Codice dei Beni Culturali, senza alcun dibattito pubblico. Sapete bene chi guida il Ministero e quali sono i progetti ministeriali riguardo la gestione del Patrimonio culturale: lasciare che questa riforma passasse senza nessun tipo di opposizione e dibattito ci sembrava una scelta quantomeno scellerata. Ma come fare opposizione e dibattito senza essere né in Parlamento né nel Governo? Con le proposte, con gli argomenti. Ed eccoci arrivati alla decisione di pubblicare un’intera proposta di riforma del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, per dire chiaramente al Governo che no, la vostra riforma non è l’unica possibile, ma è e deve essere un argomento di dibattito. Sottolineiamo e ribadiamo che si tratta di una proposta, che come tale può e deve essere arricchita, discussa, integrata, e perchè no, criticata e migliorata.
C’è poi un secondo pensiero latente in voi che ci leggete: il timore, o la convinzione, che il Codice dei Beni Culturali sia qualcosa di vago, di poco pratico, la cui modifica, sia in positivo sia in negativo, non avrebbe grandi effetti sulle nostre vite. Non c’è nulla di più falso. Nel Codice sono contenute le norme (tutte, o alcune delle più importanti) che regolano, ad esempio, le concessioni, le esternalizzazioni, i rapporti tra pubblico e privato, e quindi in ultima istanza regolano una massa di denaro che potrebbe finire nelle tasche pubbliche (e quindi creare posti di lavoro di un certo tipo, di una certa qualità) e invece finisce nelle tasche private, prosciugando le casse pubbliche. Nel Codice si sdogana e fomenta l’uso di associazioni di volontariato per la valorizzazione del Patrimonio, abbassando gli stipendi di tutti, si regolano i rapporti con le fondazioni bancarie, si normano le sponsorizzazioni in una maniera del tutto assurda, tutelando in maniera abnorme lo sponsor privato a scapito dell’interesse pubblico. Si regolano poi le autorizzazioni e vendere, ai cambi d’uso, alla circolazione per mostre…. Insomma, si regolano tanti tanti soldi. Sapete tutti com’è andata in questi ultimi 20 anni, da quando cioè il Testo Unico è in vigore: immaginate cosa accadrebbe se il Codice, invece di essere migliorato per correggere le storture che lo caratterizzano, fosse peggiorato, portando quelle storture all’estremo. Non c’è nulla di poco pratico in tutto ciò: gli effetti sono stati immediati negli anni ‘90 e sarebbero immediati oggi.
Nel Codice poi c’è anche altro, ci sono le parti introduttive, ci sono le definizioni, c’è una visione del Patrimonio Culturale che è frutto della stagione politica a cavallo del millennio. Abbiamo deciso di discutere, nella nostra proposta, anche quella visione. Questo è l’aspetto che, lo sappiamo e lo capiamo, sarà meno condiviso da voi che ci seguite. Ma proviamo a spiegarvi la nostra scelta di proporre un’analisi sull’intero Codice e non solo sulle parti sotto attacco. I motivi sono due. Il primo è strategico: non volevamo limitarci a “difendere” l’esistente, come è stato fatto troppo a lungo, non volevamo scrivere un documento “contro” la riforma del Codice, ma “per” una buona e utile riforma del Codice. Ci appare un gesto molto più forte, coerente e d’impatto. Il secondo è pratico: come generazione di giovani professionisti dei beni culturali, pensiamo sia giunto il momento di discutere serenamente delle definizioni e della visione di Patrimonio culturale ereditate dal Novecento. Una visione figlia di persone e tempi per cui proviamo rispetto e talvolta ammirazione, certo, ma che non per questo deve essere intoccabile: il Patrimonio come avente valore “storico-artistico”, il bene culturale come avente valore “di civiltà”, il paesaggio come “espressivo d’identità”, e il gran numero di volte in cui nel Codice compaiono le parole “bellezza”, “degrado”, “nazione”, non solo offrono una visione che noi come gruppo non condividiamo, ma a nostro avviso limitano l’enorme potenziale inespresso del Patrimonio culturale come vettore di sviluppo sociale e culturale, come bene comune fonte di memoria critica e di coscienza comunitaria. E siamo fermamente convinti che se il Patrimonio passerà ad essere percepito come fondamento della società e del benessere collettivo, non solo avremo un mondo migliore, ma anche più lavoro per tutte e tutti noi. Potevamo evitare di sollevare tutte queste questioni in un solo colpo? Sì, ma a noi appariva una scelta limitante e sbagliata.
Abbiamo sogni, sì, abbiamo voglia di discutere tutto, ma abbiamo anche obiettivi concreti e precisi. Le due cose non si escludono affatto. Nell’immediato, l’obiettivo è chiaro e limpido: vogliamo aprire una discussione a tutti i livelli, fino ai piani più alti del Ministero, per impedire che una pessima riforma del Codice passi senza alcun dibattito. Per impedire che la situazione del Patrimonio culturale e di chi ci lavora peggiori ulteriormente, sì, ma allo stesso tempo ponendo le basi per un miglioramento. Ecco perché abbiamo scritto e a breve pubblicheremo una proposta di riforma del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. E non vediamo l’ora di discuterne con voi.
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