Le nostre pagine social si danno un nome uniforme, a testimonianza di una lotta che cresce e si amplia

Forse qualcuno di voi l’avrà notato: da qualche giorno la nostra pagina Facebook ha cambiato nome, perdendo il sottotitolo sono un professionista dei beni culturali, che portava fin dalla sua creazione, il 25 novembre 2015. Non si tratta di un’operazione di semplice maquillage volta alla semplificazione – seppur certo anche di semplificazione si tratta: il nome esteso, quello scelto nel 2015, ormai resisteva solo su Facebook, mentre negli altri social, a causa del limite di caratteri, non era mai stato utilizzato – ma si tratta di un cambiamento che rispecchia quello della nostra associazione. Nato come “campagna sull’accesso alle professioni dei beni culturali”, il nostro attivismo è diventato in breve tempo molto di più, fino ad essere oggi uno spazio di discussione, attivazione e creazione che lavora a 360 gradi per una migliore gestione del patrimonio culturale italiano e di chi vi lavora o vuole lavorarci.

Il nostro nome nasceva da “una domanda, ambigua proprio perché rispecchia una condizione originaria di ambiguità” in cui viviamo, come scrivevamo già nel 2016:

“Mi riconosci, società? Sono cosciente che la mia posizione è talmente ambigua che ogni volta che parlo del mio lavoro stento anche io a capire quale sia il mio ruolo preciso.

Mi riconosci, collega? La mia lotta è la tua lotta, se vogliamo una svolta non possiamo continuare a ragionare per categorie, continuando ad accettare l’ inaccettabile.

Mi riconosci, Italia? Sono colui/colei che può riportare la cultura al centro della vita del Paese, vedendo davvero il patrimonio culturale come qualcosa di centrale e necessario per la crescita di un territorio e di una coscienza civica collettiva, e portando sviluppo economico, sociale e culturale a coesistere per il benessere comune.”

Una domanda forte, a cui gli anni seguenti hanno dimostrato che la sola risposta “sono un professionista dei beni culturali” non poteva bastare. Infatti, se il nostro nome era perfettamente in linea con il nostro primo impegno, cioè la discussione dei requisiti per il riconoscimento professionale, con gli anni abbiamo capito che dovevamo ampliare la nostra azione, perché quella prima istanza era solo uno degli innumerevoli problemi che affliggono il settore culturale. E man mano, abbiamo allargato la portata delle nostre azioni e dei nostri discorsi, fino a che il nostro sottotitolo ha finito per non rispecchiarci più. Perché siamo, in realtà, più professioniste che professionisti; perché siamo anche lavoratrici e lavoratori non specializzati, siamo studenti e studentesse, siamo cittadine e cittadini con l’obiettivo comune di cambiare la gestione del patrimonio culturale italiano. Perché nel nostro cammino abbiamo incontrato persone a cui la categoria di “beni culturali”, che parla di qualcosa da difendere e tutelare, stava stretta, perché potenzialmente limitante e conservativa, e abbiamo compreso che ciò che offriamo alla società sono anche e soprattutto dei “servizi culturali”, al pari di quelli sanitari o educativi. Lavoriamo nei e per i beni culturali, certo, ma lavoriamo anche nella ricerca, negli uffici comunali, nei teatri; tuteliamo, ma anche creiamo cultura.

Mi Riconosci? non lascerà mai la lotta per il pieno riconoscimento di tutte le professioni culturali. Ma oggi è più grande, più matura, più ambiziosa, e il suo nome come una domanda aperta interroga in maniera sempre più trasversale le persone che incontriamo, in musei,  archivi, cantieri, gallerie. Abbiamo deciso di non dare noi una e una sola risposta, perché essa, qualsiasi fosse stata, sarebbe rimasta in qualche modo riduttiva ed escludente. La lotta contro la nostra invisibilità e marginalizzazione sociale è più che mai valida, ma la risposta al nostro nome e, con essa, gli obiettivi finali delle nostre lotte sono da scrivere insieme. 


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