Il 14 gennaio si è tenuto More Museum, un grande convegno sulla ripartenza dei musei italiani. I relatori promettono che il sistema cambierà: in quale direzione?
Che cosa si è fatto nei musei dietro le porte serrate dall’emergenza sanitaria? Cosa ancora si farà? Chi lo farà e per chi? A queste domande hanno provato a rispondere i relatori intervenuti, lo scorso 14 gennaio, al convegno More Museum: il futuro dei musei tra crisi e rinascita, cambiamenti e nuovi scenari. Un grande evento, di notevole impegno e ambizione, organizzato dall’Assessorato alla cultura del Comune di Firenze, dall’Associazione MUS.E e dal Museo del Novecento. Direttori e rappresentanti di alcuni tra i principali musei e istituzioni culturali italiani, insieme al ministro Dario Franceschini, a Massimo Osanna (direttore generale dei Musei del Mibact), al sindaco Dario Nardella e agli assessori alla cultura di Firenze, Milano e Torino, hanno provato a riflettere su quanto è stato fatto dai musei e nei musei, da marzo 2020 ad oggi. E su quanto dovrà essere fatto nelle settimane, nei mesi e negli anni a venire. Come attiviste e attivisti di Mi Riconosci abbiamo deciso di seguire interamente questo convegno, per il tempismo e l’ambizione dello stesso, e per questo possiamo riportarvi le nostre impressioni.
Indicativa la scelta dei relatori: accanto ai principali musei italiani, istituti privati o gestiti da fondazioni di partecipazione, è mancata, tra oltre quaranta relatori, una rappresentanza di tanti musei civici o statali cosiddetti “minori”, che pur costituiscono l’ossatura del nostro sistema museale. Colpisce anche la scelta di organizzare a Firenze un convegno di tale rilevanza, e viene da chiedersi se non fosse in qualche modo programmatica, quasi si tentasse di far passare attraverso un sistema locale che si ritiene virtuoso anche la progettualità di musei diversissimi per storia, identità e statuto. Rispetto alla retorica di un solo e vasto “nuovo Rinascimento”, propagandata per l’ennesima volta da sindaco e assessore in apertura dell’evento (gli stessi che a primavera avevano tenuto in ostaggio i musei, lavoratori inclusi), la parte del sistema museale rappresentata è parsa però fin da subito terribilmente complessa e frammentata. Il convegno ha infatti offerto uno spaccato ampio e articolato delle aporie strutturali dei musei, aggravatesi con l’emergenza sanitaria, aggiungendo poi qualche spunto più positivo sulle potenzialità ancora da sviluppare.
Immancabile il peana d’esordio del ministro Franceschini, che ha trionfalmente presentato la nuova piattaforma della cultura ITsArt come una “rivoluzione”, a pagamento ma al contempo “molto democratica” (sic!), nonostante il progetto abbia già ampiamente sollevato, e da più parti, pesanti dubbi e perplessità.
La chiamata – urgente e improcrastinabile – alle assunzioni di massa, proveniente da Sylvain Bellenger (Museo e Real Bosco di Capodimonte) e Christian Greco (Fondazione Museo Egizio), espone una ferita aperta della riforma ministeriale del 2014. Un allarme meritorio, che pur arriva dal portavoce di una Fondazione che fa utilizzo attivo del lavoro a cottimo pur di aumentare gli utili, fatto che da marzo a oggi ha portato al crollo delle entrate per le decine di educatori museali a partita IVA ivi impiegati: di tutto questo il direttore Greco non ha fatto menzione.
Paolo Giulierini (Museo Archeologico Nazionale di Napoli) si aggiunge a chiedere che gli organigrammi museali siano diversificati e integrati con figure professionali nuove (sociologi, antropologi, informatici, mediatori culturali), che possano mediare nelle relazioni del museo con la società. Da più parti si annuncia il potenziamento dei rapporti con le Università e i centri di ricerca, l’approfondimento della missione didattica, e si chiede che ai musei stessi venga demandata la formazione dei funzionari. La vocazione internazionale auspicata da Franceschini per i musei italiani dovrà passare necessariamente per queste vie, affinché non resti mera propaganda.
Se il turismo di massa, incredibilmente, sembra ancora tollerabile a Massimo Osanna (Direttore generale Musei del Mibact e direttore del Parco Archeologico di Pompei), aumentano – sommandosi alle nostre – le voci di chi, attraverso modelli di crescita sostenibili, cerca strategie alternative per riconciliare i musei con la cittadinanza, nei territori urbani (Eike Schmidt, Gallerie degli Uffizi; Gabriella Belli, Fondazione Musei civici di Venezia; Lorenzo Balbi, MAMbo) ed extraurbani (Andrea Bruciati, Villa Adriana e Villa d’Este; Tiziana Maffei, Reggia di Caserta). Pur apprezzando lo slancio propositivo dei direttori, si rileva però la necessità che questi proclami vengano finalmente sostanziati da iniziative concrete, che intervengano sul tracciato sinistro segnato da alcuni episodi piuttosto allarmanti: l’aumento del costo del biglietto degli Uffizi a oltre venti euro; lo sgombero del Museo didattico del libro antico e del Centro di archeologia libraria e bibliotecaria, già a Villa d’Este e Villa Adriana a Tivoli; le posizioni, fortemente ambigue, assunte in passato da Tiziana Maffei in merito alle esternalizzazioni dei servizi.
È difficile, invece, esporre ulteriori valutazioni sul rapporto tra pubblico e privato, che pure è stato additato da alcuni (Giovanna Melandri, presidente MAXXI; Marion Piffer Damiani, presidente Fondazione Museion, Bolzano; Stefano Karadjov, direttore Fondazione Brescia Musei) a modello virtuoso di governance, da rafforzare in futuro. Tale compenetrazione comporta diversi rischi a livello gestionale, e sarebbe pertanto opportuno che le proposte in questa direzione fossero meglio approfondite e dettagliate, nonché sorrette da una struttura normativa più forte di quella attuale.
Le risorse e gli strumenti digitali, esplorati dalla quasi totalità dei musei nei mesi di chiusura, hanno rappresentato un altro leitmotiv della discussione. L’apertura incondizionata alla digitalizzazione di Franceschini, Nardella e Sacchi è temperata dagli inviti alla cautela di Del Corno e Greco, dagli avvertimenti di Bruno Racine (Palazzo Grassi – Punta della Dogana, Collezione Pinault) e di altri che hanno evidenziato la sussidiarietà degli strumenti digitali rispetto alla materialità delle collezioni. Inoltre, è emersa con chiarezza la raccomandazione a non perdere di vista la necessità di una “architettura intellettuale, scientifica” delle pratiche di digitalizzazione, oltre che di una ferrea regolamentazione nazionale ed europea nella gestione dei diritti di proprietà delle immagini (Aurelie Filippetti, direttrice Villa Finaly; Valdo Spini, Presidente Associazione delle Istituzioni di Cultura italiane).
Il tema dello ‘spazio’ ha poi accomunato, in un certo senso, gli interventi di tre relatori (Enrica Pagella, Musei Reali di Torino; Cristiana Perrella, Museo Pecci di Prato e Giulio Manieri Elia, Gallerie dell’Accademia di Venezia). La prima ha sottolineato la necessità di creare nei musei “spazi filtro”, ovvero luoghi fisici destinati alla preparazione del pubblico al percorso di visita e alla conoscenza preliminare delle collezioni permanenti. Il Centro Pecci, che ha natura di centro polivalente, è in questo senso facilitato: il museo continuerà a proporsi non solo come sede di mostre, ma anche di studio, ricerca e incontri. Il bilancio delle Gallerie dell’Accademia di Venezia ha previsto una voce per la creazione di spazi ove possano avvenire incontri con i giovani, per ora solo virtuali: si spera che alla progettazione dei luoghi segua presto l’attenzione per il personale, con l’assunzione programmatica di educatori ed educatrici. La riconquista della permeabilità dello spazio museale e l’apertura degli istituti a pubblici di neofiti sempre più eterogenei sembrano invece obiettivi ancora drammaticamente lontani per i Musei civici veneziani, che hanno annunciato di voler prolungare la chiusura fino a primavera inoltrata per incomprensibili necessità di bilancio (decisione ora oggetto di un’interrogazione parlamentare).
Oltre a condividere l’idea del museo come luogo di incontro, formazione e cittadinanza, non possiamo che sposare i numerosi e accorati appelli dei diversi direttori a favore di nuove assunzioni. Vale la pena di sottolineare che il principale destinatario di tali richieste, ossia il Ministro, era anch’egli presente all’evento. Chissà se questa volta gli appelli saranno ascoltati. Certo, l’ultimo, criticatissimo bando del Mibact non fa ben sperare, dimostrandosi l’ennesima occasione sprecata per ripensare un piano serio e strutturato di assunzioni. Una vera ripartenza sociale ed economica dalla crisi pandemica attraverso il rilancio della cultura, come invocato dai relatori e anche dagli amministratori, si allinea con il programma dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile sottoscritta, nel 2015, dai Paesi membri dell’ONU, Italia inclusa.
Per rendere, tuttavia, concreti sia gli obiettivi dell’Agenda 2030, sia i progetti auspicati durante il convegno, è evidente che il primo atto di questo processo dovrà coincidere con un piano programmatico di assunzioni di figure professionali variegate: storici dell’arte, archeologi, educatori museali, mediatori culturali, antropologi, sociologi e informatici. Solo colmando gli organici carenti e dotando gli istituti culturali del personale necessario, i musei potranno attuare i programmi di sviluppo prospettati, che stimolino la vera crescita sociale e culturale del territorio. Il compimento di quest’ultimo obiettivo è subordinato necessariamente alla salvaguardia e alla valorizzazione della rete museale nella sua capillarità; per questo, le esperienze di rinnovamento discusse a More museum non dovranno riguardare solo grandi città e grandi musei. I piccoli centri, i musei minori sono altrettanto essenziali a ripristinare il dialogo con il territorio nella sua integrità storica, proteggendolo dalle banalizzazioni folkloristiche.
Tocca ora agli amministratori nazionali, e in particolare al ministro dei Beni Culturali, sotto la cui egida si è aperto il convegno, raccogliere l’eredità di questa giornata e provvedere concretamente a restituire centralità alla cultura nel piano Next Generation EU. Nonostante Franceschini abbia a più riprese promesso di rendere il settore culturale motore trainante della ripartenza post-Covid-19, al momento per l’intero comparto Cultura e Turismo è previsto soltanto l’1,6% del Recovery Fund. Una ripartenza a motore spento?
Le attiviste e gli attivisti toscani di Mi Riconosci
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