Abbattere alberi e cementificare le coste in tempi di crisi climatica. Due esempi di mala gestione del patrimonio paesaggistico e di miopia, da Pordenone alla Sardegna.
In tempi di crisi climatica, in cui la transizione ecologica è un’urgenza e la tutela del patrimonio paesaggistico una necessità, le decisioni delle amministrazioni locali circa la gestione del paesaggio – rurale ma anche cittadino – possono essere impattanti in senso negativo tanto quanto l’inazione o le scelte scellerate del governo centrale. Ne abbiamo due recenti esempi in Friuli Venezia Giulia e in Sardegna, che ci paiono emblematici di ciò che non stiamo comprendendo.
A Pordenone l’attuale amministrazione cittadina, a cui fa capo il sindaco Alessandro Ciriani, ha infatti stabilito di abbattere una sessantina di tigli alti una trentina di metri, in perfetta salute e d’interesse storico (le piante hanno circa novant’anni); il tutto per un progetto di “riqualificazione” delle palestre della cosiddetta “ex fiera”, il quale è stato pensato e approvato senza minimamente coinvolgere la cittadinanza. I pordenonesi hanno reagito con una petizione, attualmente a quota 39.524 firme, senza ricevere né risposta, né considerazione, né una minima apertura al dialogo da parte del primo cittadino, il quale ha rifiutato ogni richiesta di modifica del progetto. Nonostante il dissenso popolare, espresso dalle molte manifestazioni di piazza che si sono susseguite per tutta l’estate, nonostante il comitato dei cittadini si sia detto disponibile a discutere con l’amministrazione una soluzione alternativa per riqualificare l’area in questione, il progetto originale, che costerà 22 milioni di euro, dei quali circa 11 finanziati con un bando del Pnrr, è stato portato avanti ignorando anche il parere di esperti e financo della Soprintendenza regionale, secondo cui gli alberi, avendo più di settant’anni di vita, vanno tutelati ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio (articolo 10). Come? Visto che il piano di “riqualificazione”rientra nel PNRR, la Soprintendenza speciale a questo dedicata ha potuto aggirare i pareri dell’ente territoriale e far proseguire il progetto. In barba a cittadinanza, ente locale e, a nostro avviso, buon senso e leggi dello Stato.
In un momento storico in cui, in campo internazionale, si studiano e applicano soluzioni come le “città spugna”, i “rain garden” o il cosiddetto “depaving”, che consiste nell’eliminare parti cementate o coperte da piastre di pavimentazione, sostituendole con aree verdi e alberate per rendere le città più fresche, vivibili e per migliorare l’assorbimento delle acque meteoriche, un’amministrazione locale agisce in senso opposto, scambiando piante antiche e mature con altre giovani, che richiederanno cure maggiori negli anni a venire e potranno offrire vantaggi minori in termini di riparo e assorbimento della CO2.
Contemporaneamente anche in Sardegna si vuole avviare un altro progetto di cosiddetta riqualificazione. Il luogo in questione è l’ex faro di Capo Figari, sito in un’area naturale a protezione speciale del comune di Golfo Aranci (vicino ad Olbia), dove si vuole realizzare un hotel di lusso sull’esempio della ben nota Costa Smeralda, privando la cittadinanza di un bene naturale e culturale. Il faro fu infatti utilizzato da Guglielmo Marconi per i suoi esperimenti sulle radiocomunicazioni, all’inizio del Novecento. Come a Pordenone, la cittadinanza ha espresso il suo dissenso attraverso una raccolta firme che ha già raggiunto la considerevole quota di 4.828 adesioni (gli abitanti sono meno di 3000). Anche in questo caso, il faro e l’area circostante sono state riconosciute dal Ministero della Cultura come area naturale protetta e bene di interesse culturale, storico e artistico, rendendo teoricamente impossibili interventi così invasivi. Purtroppo però c’è il rischio che si verifichino dinamiche simili a quelle che si stanno registrando a Pordenone e che si riesca ad aggirare il divieto.
Sempre in Sardegna, si sta inoltre discutendo la possibile modifica del Piano Paesaggistico Regionale (l’ultima versione risale al 2006 con il presidente Soru): lo scopo è quello di ridefinirei parametri per le concessioni relative ai progetti edilizi nuovi o di modifica di strutture già esistenti. Ciò garantirebbe maggiore libertà e meno vincoli e permetterebbe di costruire proprio sulla costa a ridosso del mare, come se gli ultimi decenni non avessero già visto le coste sarde invase dal cemento. Nel frattempo è stata approvata una norma che permette di aumentare la volumetria degli alberghi di lusso siti nella fascia costiera entro i 300 metri, contrariamente ai limiti stabiliti recentemente in tempo di Covid dallo stesso Christian Solinas, presidente in carica della Regione Sardegna dal marzo 2019.
Ciò che unifica queste discutibili iniziative delle amministrazioni locali sarda e friulana è l’obiettivo di far crescere gli introiti attraverso una politica di privatizzazione di beni pubblici di pregio e d’interesse storico e paesaggistico. La gestione di beni e spazi pubblici avviene senza interpellare la cittadinanza, la quale avrebbe il diritto non solo di dire la propria riguardo alla gestione del territorio in cui vive, ma di prendervi parte attivamente.
Eppure, la tutela del paesaggio non dovrebbe essere solo immaginata come una vaga difesa degli ecosistemi, ma dovrebbe coinvolgere da vicino le comunità che quei paesaggi li vivono. Tutela del paesaggio significa comprendere anzitutto il significato che lo specifico paesaggio ha oggi, quello che ha assunto in passato e quello che potrebbe assumere in futuro.
In un momento di emergenza come quello che stiamo vivendo, in una democrazia sana, un Paese che desidera preservare il paesaggio (che, lo ricordiamo, è composto sia degli elementi naturali che da quelli antropici), migliorando al contempo la qualità di vita dei propri cittadini, dovrebbe interpellare questi ultimi, nel contesto di una cittadinanza attiva e partecipativa, per stabilire assieme, con la consulenza e l’indirizzo di esperti quali architetti, storici, ingegneri ambientali, restauratori, l’indirizzo da prendere e le azioni da concretizzare. Si tratta delle nostre vite, del nostro futuro: non sono cose da lasciare in balia della speculazione del mercato immobiliare.
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