Abbiamo spiegato come il Patrimonio culturale abbia bisogno di riforme strutturali per ripartire. Riforme che necessitano di investimenti e pianificazione adeguata. Ci si chiederà: ma dove si trovano i soldi per queste riforme? Ecco alcune proposte e idee.
Questo è il secondo di tre contributi che spiegano come immaginiamo si possa costruire un Sistema Culturale Nazionale.
1. Correggere gli sprechi, ottimizzare le risorse, ricavare di più
Ci sono moltissimi accorgimenti che lo Stato italiano potrebbe e dovrebbe prendere in questa fase, a costo pressoché zero o con investimenti che rientrerebbero in breve tempo.
Ad esempio si dovrebbe rivedere il sistema delle esternalizzazioni: esternalizzazione sia degli introiti sia del lavoro. Non ha senso che i concessionari in siti come Pompei, Colosseo, Uffizi, tengano oltre il 90% degli introiti dei servizi di caffetteria, ristorazione, bookshop, guardaroba e via discorrendo, tra cui spicca il servizio di prevendita online, che al momento della riapertura sarà l’unico possibile. Dato che questi concessionari stanno chiedendo ingenti aiuti statali per sopravvivere, sembra il minimo rivedere le quote e assicurarsi che i servizi di biglietteria e di prevendita siano immediatamente reinternalizzati. Per quanto riguarda le esternalizzazioni dei lavoratori, il sistema attuale non appare particolarmente lungimirante: un intervento pubblico volto a disincentivare il ricorso a subappalti nell’ottica di una riduzione dei costi e di un miglioramento delle condizioni di lavoro, se ben costruito, può portare ulteriori risparmi all’amministrazione pubblica.
Il bonus da 500€ per studenti e insegnanti è una misura costosa e poco efficace: con la stessa cifra si possono attivare progetti nelle scuole e nei luoghi della cultura rivolti ai ragazzi e a tutta la cittadinanza, che creino lavoro e favoriscano la crescita sociale e culturale. Ciò non toglie che un sussidio, per le persone e le categorie meno abbienti, di tutte le età, calcolato sulla base del reddito e utile ad acquistare beni di prima necessità e prodotti culturali sia molto auspicabile ed esuli dai doveri del solo MiBACT.
Ci sono poi altri elementi meno noti all’opinione pubblica. Menzioniamo ad esempio il miglioramento e l’internalizzazione dei servizi informatici e di digitalizzazione: assumere al MiBACT personale qualificato e specializzato nell’informatica applicata ai beni culturali e alle scienze umane – nell’immediato attraverso collaborazioni, poi per concorso – e adottare programmi sia open source sia a licenza libera (gratuiti e modificabili) permetterebbe di risparmiare moltissimi fondi, oggi concessi all’esterno, per la produzione di software specifici per digitalizzazioni di vario genere, di avere prodotti più efficienti, di esserne proprietari, e di stare al passo con gli aggiornamenti hardware dei computer senza dipendere dalle variazioni del mercato, dunque senza cambiarli continuamente. O ancora: oggi le mostre sono un grosso affare per i privati che le organizzano (in spazi pubblici), che pagano poco per organizzarle ottenendo in più la possibilità di stampare cataloghi spesso senza i diritti di copyright. È lampante la necessità di rivedere il sistema, ponendo condizioni più equilibrate, puntando su mostre con alte finalità scientifiche e di ricerca e facendo pagare importi maggiori ai concessionari.
2. Ottenere più fondi in breve tempo
Abbiamo individuato poi altre mosse utili a ottenere più fondi nel breve e medio termine. La prima è investire in uffici specializzati nel fundraising e nella gestione dei Fondi Europei: uffici che avranno natura territoriale e dovranno essere composti da professionalità specifiche, tecniche e libere da condizionamenti politici.
In secondo luogo, dato il calo drastico degli introiti della bigliettazione, e per favorire un turismo di prossimità, si può creare una sorta di canone annuo, commisurato al reddito, che i cittadini e i residenti in Italia pagano per avere accesso illimitato a tutti i luoghi della cultura di proprietà statale o pubblica. Si potrà anche implementare il 5×1000 al Patrimonio culturale, strumento di cui oggi la cittadinanza troppo spesso non è a conoscenza.
Si deve poi rivedere lo strumento dell’Art Bonus e delle sponsorizzazioni: attualmente lo sponsor può scegliere il bene da sostenere, ottenere l’associazione del nome dell’azienda a quel bene e oltretutto un credito d’imposta (sconto fiscale) del 65%. Questo porta ad avere la quasi totalità delle donazioni concentrate sui beni delle regioni in cui esiste un tessuto imprenditoriale forte. Inoltre, il fatto che una donazione con tale credito d’imposta possa essere concessa anche a fondazioni private, lascia grande spazio a movimenti di denaro opachi e poco tracciabili: proprio le Fondazioni private che gestiscono patrimonio pubblico, in particolare nel centro-nord, sono costantemente tra i maggiori beneficiari dell’Art Bonus.
Proponiamo di creare un fondo nazionale per la Cultura a cui poter donare con credito d’imposta al 65%, con formule di mecenatismo e non di sponsorizzazione, estendendo la possibilità di effettuare donazioni anche ai privati cittadini, fino a 50 mila euro. In questo caso non si potrà scegliere a quale bene donare, ma sarà lo Stato, secondo criteri chiari da stabilirsi, a distribuire i fondi nei luoghi che ne hanno bisogno.
Proponiamo inoltre di introdurre la possibilità di donare a progetti che riguardano più istituti e molteplici beni, anche in territori diversi (e di conseguenza permettere agli Istituti di scrivere progetti interregionali o interistituto, favorendo la collaborazione tra istituti e territori): per esempio progetti che riguardino gruppi di monumenti o determinate vicende storiche nella stessa regione o in diverse regioni. Per macroprogetti simili il credito d’imposta potrebbe essere piuttosto alto, intorno al 50%.
Per quanto riguarda le donazioni a un singolo bene, scelto dal mecenate (non più sponsor), può restare per il mecenate la possibilità di rivendicare pubblicamente la donazione a quel determinato bene, ma il credito d’imposta deve essere ridotto a meno di metà dello sgravio attuale, per favorire le donazioni al patrimonio diffuso.
3. Un Fondo per la Cultura con prestiti garantiti dallo Stato
L’intero comparto delle imprese e dei privati, nel settore della Cultura e non solo, sta chiedendo a gran voce di ottenere prestiti o garantiti dallo Stato o a fondo perduto. Per chi mastica poco il linguaggio bancario: a fondo perduto significa ottenere soldi senza dover dare nulla in cambio, in regalo. Prestito garantito dallo Stato significa che l’impresa riceve soldi con l’impegno di restituirli, ma se la restituzione non avverrà, la banca si potrà rivalere sullo Stato.
La prima misura (fondo perduto) ha senso solo per piccole realtà che si pongono al servizio della comunità, la seconda è probabilmente necessaria in questa fase per evitare un totale collasso dell’economia. Ma sembra evidente che lo Stato, su quei prestiti, potrà e dovrà porre determinate condizioni a chi li riceve. Si propone di erogare quei prestiti alle imprese culturali soltanto a condizione che accettino di:
- salvaguardare i livelli occupazionali precedenti all’emergenza COVID-19;
- applicare il contratto Federculture a tutti i dipendenti (con livelli contrattuali adeguati);
- non ricorrere ai subappalti;
- non utilizzare volontari del servizio civile;
- accogliere un solo tirocinante universitario ogni cinque dipendenti;
- limitare l’utilizzo di collaborazioni a partita IVA e collaborazioni occasionali a un solo collaboratore esterno ogni cinque dipendenti (ulteriori limitazioni all’utilizzo di collaboratori a partita IVA come dipendenti de facto richiedono una serie di riforme necessarie e auspicabili, ma che esulano dalla specificità del settore culturale).
Lo Stato potrà anche offrire fondi ulteriori per l’adeguamento dei contratti e per il blocco dei subappalti, ma solo se le imprese accetteranno tutte le condizioni imposte: in particolare, incentivi potranno essere offerti per assumere come dipendenti i professionisti a partita IVA che hanno offerto all’azienda più di 5 mila euro di servizi negli ultimi 12 mesi. Sono condizioni molto gravose ma necessarie, dal momento che l’amministrazione investe soldi pubblici per permettere a queste imprese di continuare ad esistere.
Questi sono solo provvedimenti nel breve e medio termine, con soldi che già ci sono o che saranno comunque erogati a brevissimo. Non ci siamo addentrati in questo contributo negli interventi che possono creare circoli virtuosi, maggiori introiti e benessere nel medio e lungo termine. Sottolineiamo peró la necessità di costruire un sistema turistico ben pianificato e organizzato, attraverso l’utilizzo di competenze e professionalità appositamente assunte dagli enti pubblici. Tale sistema consentirà di creare ricchezza e di agire sui territori e per i territori. A questo scopo, però, serve una profonda revisione dell’attuale sistema, come spiegheremo nel contributo successivo.
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