I musei devono limitarsi a far rispettare la legge e a subirla, o dovrebbero impegnarsi per la crescita sociale? Una riflessione a partire da quanto accaduto alla Reggia di Caserta.

Ieri la Reggia di Caserta ha fatto un passo deciso nella direzione giusta, vietando il servizio carrozze che, caratterizzato da un feroce sfruttamento animale, aveva portato giovedì scorso al decesso di un cavallo proprio nei giardini della Reggia. La scelta arriva dopo un evento clamoroso, e dopo una petizione che aveva raccolto decine di migliaia di firme, ma ciò non toglie che sia una decisa scelta nella direzione giusta.

Ma è interessante notare che la direzione della Reggia non ha vietato il servizio ippotrainante in quanto sbagliato, inutile, o causa di sofferenza animale. Lo ha vietato perché, a seguito di accertamenti, si era chiarito ci fossero stati degli illeciti. La nota diffusa alla stampa dice che “Scevra da ogni giudizio ideologico o personale, la valutazione è scaturita anche dalla notizia di presunti gravi illeciti commessi nell’espletamento del servizio. [La Reggia di Caserta] non ha poteri di controllo, né competenza, su autorizzazioni o licenze. La Reggia di Caserta è un Istituto dello Stato. Luogo della cultura, della conoscenza e della costruzione del pensiero critico. È inaccettabile che le attività al suo interno possano essere caratterizzate da illegalità”. Il problema, dunque, sembra essere il fatto che si fosse agito contro la legge. E la direzione chiarisce, con una notevole forzatura, di non avere “controllo, né competenza, su autorizzazioni e licenze”. Come a dire, se non c’è illecito, noi non possiamo esporci. Ciò, naturalmente, è vero solo in minima parte.

Questo evento puntuale ci induce a chiederci: è giusto che i Musei si limitino a far rispettare le leggi, decidendo di non schierarsi per una modifica delle stesse quando necessario? Una domanda che ci porta a chiederci cosa sia un museo. La risposta non è scontata, dato che da ormai quattro anni l’International Council of Museums non riesce a trovare un accordo a riguardo. Un museo è un soggetto che conserva e offre esperienze culturali, che quindi in sostanza riflette più o meno passivamente la società che lo circonda, o al contrario è un soggetto attivamente coinvolto nella crescita culturale e sociale della società, ponendosi quindi all’avanguardia rispetto al mondo che lo circonda? La direzione della Reggia di Caserta, con il richiamo all’”illegalità” e non a ciò che è giusto, si schiera per la prima idea di museo. E non è un caso che l’attuale direttrice della Reggia di Caserta, da presidente di ICOM Italia, si scagliò duramente contro l’innovativa definizione di Museo proposta dalla direzione di ICOM e appoggiata dalla maggioranza dei soci, proposta che prevede che i musei siano realtà “polifoniche” impegnate a favore della “giustizia sociale” e del “benessere planetario”. Per chi non è a conoscenza degli avvenimenti interni a ICOM, esistono online sintesi dettagliate.

Sia chiaro però che la visione espressa dall’allora presidente di ICOM Italia e confermata dalla recente nota della Reggia di Caserta è largamente maggioritaria nel ceto che dirige i musei italiani in questo momento. Emblematica a tal riguardo è la durissima, e sacrosanta, battaglia che gli Uffizi hanno condotto contro il bagarinaggio, utile a far rispettare la legge; ma la stessa direzione degli Uffizi non ha mai messo in discussione quella stessa (pessima) legge che si è impegnata a far rispettare, e che garantisce introiti spropositati ai concessionari sui servizi di prevendita della Galleria.

Non lo scopriamo certo ora: i più grandi musei italiani sono colmi di ingiustizie e contraddizioni, con personale che lavora gratis (legalmente) per tirocini o volontariato, personale che lavora per stipendi più che miseri, esternalizzato a volte da decenni, e con una larghissima parte degli introiti che, invece di finanziare l’istituto e gli stipendi del personale, va a finanziare aziende esterne che spesso e volentieri lucrano proprio sull’abbassamento degli stipendi dei dipendenti. Il servizio ippotrainante della Reggia di Caserta, responsabile della morte di un cavallo, era esternalizzato, ma sfruttamento e maltrattamenti nei servizi esternalizzati degli istituti culturali italiani non riguardano certo solo gli animali

A riguardo, le direzioni dei musei italiani hanno deciso, ormai da un pezzo, di limitarsi a non fare, ad adeguarsi, a subire in un certo senso la realtà che li circonda. Azioni come l’ingresso di volontari per coprire i buchi di personale creano un calo dei salari. L’apertura del museo in orari o modalità particolari a chi paga di più, o a chi è più potente, porta a istituti culturali che non solo non combattono ma cristallizzano e certe volte celebrano la diseguaglianza sociale esistente. Tutto ciò però è non solo normale ma anche necessario per chi in questi decenni ha deciso il destino dei nostri musei. I musei devono conservare, educare, funzionare dal punto di vista economico e tutto sommato accettare la società. Non è strano, però, che una tale posizione sia in esigua minoranza all’interno della museologia mondiale, con solo 24 su 119 comitati nazionali in tutta l’International Council of Museums a difenderla.

Chi ha scritto questo articolo ritiene che i musei abbiano il dovere di porsi come spazio altro, che vive nella società ma non per questo la subisce. Chiaro è che questa è solo un’opinione, una visione, seppur maggioritaria nella museologia mondiale e altamente marginalizzata nel dibattito italiano. Ma non possiamo fare a meno di chiederci se sia giusto che i più grandi e importanti musei italiani, che sono poi tra i più grandi e importanti musei del mondo, possano decidere a priori di non occuparsi di “contribuire alla dignità umana e alla giustizia sociale, all’uguaglianza globale e al benessere planetario” (dalla definizione di museo che ICOM sta discutendo). Forse non dobbiamo attendere altri illeciti, illegalità e drammi per dirci che qualcosa, negli obiettivi e il modus operandi dei musei italiani, sarebbe il caso che cambiasse. 

Leonardo Bison


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