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Il sistema culturale italiano non deve ripartire come prima, deve cambiare profondamente e ripartire in condizioni decisamente migliori di prima. Lo hanno detto un po’ tutti, ad esempio qui e qui, e lo abbiamo detto anche noi, proponendo un cambio di prospettiva netto, un Sistema Culturale Nazionale. Ma come attivare questo cambiamento netto, in un momento tanto complesso?

Questo è il primo di tre contributi che conterranno le proposte emerse dalla nostra assemblea nazionale per quanto riguarda il cammino verso il Sistema Culturale Nazionale. Si parte con le proposte per affrontare e superare l’emergenza, uscendone migliori di prima, come Paese e come settore culturale.

1. Permettere al settore e ai suoi lavoratori di sopravvivere

Sussidi temporanei sono necessari per tutti i lavoratori del settore che in questo momento non possono lavorare o comunque non potranno farlo nei modi precedenti l’emergenza per mesi e mesi. Data l’estrema caoticità delle formule contrattuali, sembra opportuno, più che creare sussidi pensati per specifiche categorie che irrimediabilmente escluderebbero altre migliaia di persone, creare un reddito di sostegno agli individui, sufficiente per vivere con dignità, che copra in modo equo una larghissima platea di persone in difficoltà economiche, non solo nel settore culturale. Questa misura è necessaria per permettere di costruire un settore culturale sano senza imporre ai più deboli condizioni di ricattabilità estrema.

Questi mesi di strutturale rallentamento del settore dovrebbe essere usati anche per estendere e rivedere i Contratti Nazionali (CCNL) che sono manchevoli in tutto il settore culturale, come dimostrato dalla massa di lavoratori rimasti senza stipendio e ammortizzatori sociali. 

Vanno poi aiutate tutte le realtà sociali, culturali e imprenditoriali del settore. Piccoli ma rilevanti aiuti come l’annullamento delle spese vive o la sospensione dei pagamenti delle imposte con conseguente rateizzazione possono essere previsti per tutte le realtà che promuovono la fruizione e la produzione culturale e hanno fatturati bassi (poche decine di migliaia di euro), imponendo vincoli e condizioni specifiche per l’accesso a queste misure. Questa forma di sostegno va mantenuta nel tempo fino a quando tutte le attività lavorative non ritornino al regolare svolgimento. Allo stesso modo immaginiamo uno specifico uso di erogazioni a fondo perduto, seguendo i vincoli appena citati, che dovranno essere pensati dalle autorità competenti per evitare abusi e favorire la difesa delle delle piccole-medie realtà al servizio della comunità.

C’è poi la necessità di prestiti garantiti dallo Stato (intesi per qualsiasi realtà): questi, come sarà spiegato nel prossimo contributo che pubblicheremo, sono necessari per mantenere in vita il settore ma vanno garantiti soltanto alle realtà che accetteranno stringenti condizioni per quanto riguarda il rispetto dei diritti dei lavoratori e il rilancio dell’occupazione.

2. Far vivere la Cultura nell’emergenza, a tutti e per tutti

Il Ministero dei Beni Culturali in queste settimane ha puntato molto sui contenuti online, dimenticando però due aspetti fondamentali.

Il primo è che moltissimi cittadini italiani non hanno accesso a quei contenuti perché non hanno una connessione a internet (situazione aggravata dalla chiusura delle biblioteche civiche). Dunque puntare sull’online senza affrontare di petto le questioni riguardanti l’assenza o la debolezza di infrastrutture digitali rischia di aumentare il divario già esistente tra cittadini più fortunati e meno fortunati. 

La seconda è che questi contenuti sono spesso prodotti in modo amatoriale da persone non formate né pagate per creare produzioni culturali online. L’assenza di fondi dedicati penalizza irrimediabilmente le piccole istituzioni culturali meno dotate di apparati tecnologici e personale adeguato, oltre ad escludere pubblici con deficit sensoriali di vario tipo, o meno formati e meno avvezzi all’uso di questa tecnologia, o di determinate fasce d’età. Ancora una volta aumentando i divari già esistenti.

Il problema va affrontato seriamente e subito: se così non fosse, si correrebbe anche il deleterio rischio che spostando la produzione su internet e contingentando gli accessi ancor più persone perdano il lavoro, quando invece web e social network possono dare occasioni di lavoro per il nostro settore prima inimmaginabili. Investire nella creazione di contenuti digitali di qualità per tutta la cittadinanza con risorse umane specifiche, nonché permettere a tutta la cittadinanza di accedere a internet, non solo creerebbe occupazione di qualità nell’immediato, ma permetterebbe di utilizzare questa fase di emergenza per colmare un vuoto grave e strutturale in questo Paese. Oltre a evitare di escludere intere fette di cittadinanza, senza alcuna colpa, dalla produzione online del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.

Ma il lavoro del Ministero non dovrebbe concentrarsi online. Moltissimi altri lavoratori e professionisti poi potrebbero essere messi al lavoro in questi mesi di quarantena o accessi contingentati, per affrontare impegni di catalogazione, inventariazione, back-office, manutenzione, restauro, pubblicazione di dati, che non prevedono assembramenti di persone e lavoratori o che possono essere svolti in solitaria. Ciò non solo creerebbe occupazione ma permetterebbe al Ministero di uscire dall’emergenza molto più solido di quanto non fosse in precedenza, avendo riordinato e arricchito tutti i suoi archivi e avendoli messi a disposizione di un pubblico più ampio.

3. Riaprire: come e a che condizioni?

Come accennato sopra, tutte le professioni e le occupazioni che non hanno a che fare con il pubblico possono riprendere subito, in sicurezza, correggendo le storture dei più recenti decreti. Per quanto riguarda la riapertura al pubblico, si dovrà affrontare in maniera graduale, mettendo tutti i lavoratori in condizione di rispettare le norme di sicurezza, ma senza commettere il grossolano errore di tutelare anzitutto i visitatori paganti. 

La riapertura immediata deve riguardare i servizi che consentono a determinate categorie di “pubblico” di svolgere la propria professione o la propria attività formativa: dunque le visite ai luoghi della cultura per motivi di studio e ricerca, seppur con numeri contingentati ed eventualmente favorendo ove possibile modalità che non prevedano di sostare a lungo in una stanza (es. prestito). In questo senso, nel contingentare gli accessi, sembra rilevante prestare attenzione a quelle categorie, come studenti o nuclei a basso reddito, che spesso necessitano di biblioteche o sale studio come spazi dove studiare e accedere alla cultura. 

Seguiranno poi diversi mesi in cui le visite nei musei dovranno essere contingentate e brevi: per aiutare la cittadinanza in questa complessa fase, appare importante concedere temporaneamente l’accesso gratuito a tutti i luoghi della cultura statali, previa prenotazione, invitando comuni e regioni a fare altrettanto. Gli orari di apertura di musei, mostre e luoghi della cultura dovrebbero essere estesi o modificati, previe adeguate assunzioni, favorendo le ore pomeridiane e serali e i fine settimana, per evitare possibili affollamenti e favorire la fruizione: ancora una volta una misura che consente di creare occupazione immediata e offrire un servizio migliore alla cittadinanza. L’ingresso alle mostre già allestite e per cui sono già stati venduti biglietti, invece, sarà garantito ai possessori di biglietto, ma il numero di biglietti venduti dovrà essere calmierato per evitare affollamenti. La sfida dovrebbe essere quella di utilizzare i luoghi della cultura come spazi pubblici di cui i cittadini si riapproprino in questi mesi di emergenza, attraverso appropriate campagne stampa e di promozione, producendo allo stesso tempo lavoro per gli operatori culturali

Queste sono solo piccole misure, piccole proposte che possano consentire non di sopravvivere all’emergenza, ma di viverla uscendo più forti di prima. Molto di più va cambiato e andrà cambiato, per creare un Sistema Culturale Nazionale: di ciò ci occuperemo nei prossimi giorni. 

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