Turismo e cultura: il binomio volano del futuro
Basterebbe saper osservare per fare i conti con la realtà: l’Italia è in crisi. Ma non solo, il modello Italia è in crisi, a livello industriale e commerciale. Emergere nella competizione globale con il modello che ci ha resi grandi nel dopoguerra, sta risultando impossibile, e le innovazioni tentate negli ultimi dieci anni sono state più che vane. Basti pensare al flop dei finanziamenti pubblici all’imprenditoria giovanile, o alla cattiva gestione degli incentivi alle energie alternative.
Verrebbe quindi spontaneo chiedersi quale risorsa, quale “materia prima”, potremmo sfruttare per rimettere in moto l’economia. L’Italia è fatta di italiani, che spesso qui sono nati, ed è per questo che ci risulta così difficile guardare sotto il nostro naso e renderci conto di ciò su cui camminiamo, dormiamo, pensiamo e respiriamo.
“Fossimo stati in Svezia, sarebbe tutto diverso!”, direbbe qualcuno, ma la realtà è che possediamo risorse che la Svezia, o molti altri dei Paesi cosiddetti “avanzati” del mondo, ci invidiano. In quanto a patrimonio culturale, molti pochi Paesi possono competere con noi, e in ogni caso siamo il paese che possiede il maggior numero di siti riconosciuti “Patrimonio dell’Umanità” dall’Unesco. Ma allora perché non vediamo tutto ciò come una risorsa, come hanno iniziato a fare, con ottimi risultati, molti altri paesi meno “ricchi” di noi in tal campo (come Spagna e Francia)?
Flussi turistici di ogni tipo invadono la nostra penisola giornalmente da anni, da secoli: da ogni dove macinano chilometri per vedere questo o quello. Non ce ne accorgiamo neppure, li diamo per scontati. L’accezione primariamente negativa con la quale s’intende oggi il turismo spesso preclude ogni possibilità di sviluppo e di considerazione di questa tipologia di industria, associata perlopiù al turismo di massa e allo sfruttamento selvaggio delle coste e delle città: non è un caso che in Italia ci siano esempi universalmente noti di cattiva gestione dei flussi turistici.
Esistono però innumerevoli tipologie di turismo, legate al divertimento, alla natura, alla cultura e ad ogni elemento della realtà. Potrebbe difatti interessare al turista tanto un modernissimo complesso architettonico, quanto una fiera enogastronomica, tanto un importante centro di ricerca scientifica quanto un’antica e celebrata biblioteca. Ogni bene, classificato e classificabile come tale, può essere quindi interessato da una qualche forma di turismo, che inserita in un’ottica industriale – “l’industria del turismo” – porta di conseguenza ad una rilettura in chiave economica del fenomeno: può divenire fattore di benessere, sostenibile, per le comunità che vivono i luoghi del turismo. Il turismo quindi, se impostato in maniera opportuna, non è da intendersi come un nemico dello sviluppo, ma come la chiave di volta di questo processo, capace di innescare meccanismi preziosissimi per la nascita di una consapevolezza collettiva, basilare per la tutela, valorizzazione e promozione della ricchezza di un territorio. E perché quindi non puntare sul nostro patrimonio? Perché lasciare tonnellate di beni dall’altissimo valore culturale a vegetare in un deposito della sovrintendenza o in evidente stato di abbandono? Beni di ogni genere stazionano privi di informazioni, privi di approfondimenti, dove a goderne è solo l’esperto di turno, disposto a scalare una montagna pur di arrivarci. Quel bene non è mio, tuo o suo ma di tutti, pubblico, e come tale dev’essere usato, di tutti, per tutti. A tal proposito, ci si dovrebbe chiedere come mai tutto ciò sia evidente solo a noi e ad una ristretta cerchia di persone interessate o “appassionate”.
L’Europa (http://www.enit.it/it/studi.html) è la macrozona con il maggior afflusso dall’estero su una media mondiale; per il 2014 si contano 580,6 milioni di arrivi con circa 13,7 milioni in più rispetto al 2013 e 48,6 milioni di turisti stranieri solo in Italia, con un + 1,8% tra il 2013 e il 2014. É però necessario mettere in luce come il trend positivo sia dovuto a una congiuntura internazionale (+4,2% di arrivi contro l’1,8% italiano), e, se analizzato in maniera opportuna, il dato italiano dovrebbe essere considerato in tutta la sua negatività: dopo essere stata per decenni il Paese con più turisti al mondo, l’Italia è scivolata al quinto posto, e, pur lasciano perdere il +21,5% del Messico, tra i dieci paesi con più turisti stranieri del 2014 si registrano aumenti almeno doppi rispetto all’Italia. Insomma, il turismo culturale è una delle industrie più produttive al mondo, ma noi, che abbiamo le migliori “materie prime”, stiamo raccogliendo solo le briciole.
Prendiamo ad esempio Venezia, perla assoluta del nostro Paese e notoriamente mal gestita a livello turistico: dei circa 8.000.000 di visitatori del 2014 solo il 50% era interessato agli aspetti storico-artistici della città, a pari merito con i numeri del turismo balneare. La riviera veneta può pure essere ben organizzata e offrire servizi di altissima qualità, come sembrano indicare i flussi di turisti stranieri che la premiano ogni anno (a dispetto di tante altre meravigliose spiagge italiane), ma di certo in quanto a unicità e attrattività non può neppur competere con gli aspetti storico artistici della provincia veneziana e del centro storico. L’incapacità italiana di suscitare interesse nel turista, per quanto riguarda gli aspetti legati alla “cultura” in senso ampio, è palese in questi dati.
Tutto si muove come se dall’alto qualcuno avesse deciso che questa via non “s’ha da prendere” o “non s’ha da fare” e infatti non si prende né si fa. Che ruolo ha ad oggi la cultura nel nostro Paese? Siti e reperti di incredibile valore vivono nel dimenticatoio da troppo tempo.
Se poi si somma al contesto anche l’ignoranza e la noncuranza che permeano intere ali della società e dei governanti, si giunge alle logiche conseguenze. Si fanno discorsi ridondanti con numeri alla mano, si contano i soldi a fine stagione e ci si lamenta della crisi senza pensare a come migliorare o ampliare l’offerta, gongolando su quel segno più che, abbiamo visto, è più che doppiato da molti altri paesi. Il Gargano, per fare un esempio caro a chi scrive, con il suo bel Parco Nazionale attira i suoi milioni di visitatori che o per devozione o per estrema vicinanza al mare passano in zona e spendono. Ebbene Vieste, regina della costa, pur contando ancora nell 2012 circa 2.011.667 di presenze, negli ultimi dieci anni ha registrato un calo di circa il 18% con un leggero rialzo nell’ultima stagione. Alcune regioni d’Italia nel 2014, nonostante la congiuntura mondiale estremamente favorevole, sono riuscite anche a calare nettamente il numero di presenze.
Se invece di cullarsi sulla certezza di un guadagno, affatto scontato, si iniziasse a lavorare per ampliare il target – variando, migliorando, valorizzando – oltre che per strizzare fino all’osso le finanze dei fedelissimi, forse di anno in anno il flusso aumenterebbe e magari si riuscirebbe anche a tutelare e promuovere i beni meno evidenti. Dove infatti non vi è un manifesto valore estetico, può risultare determinante un interesse di tipo scientifico, sociale, storico-archeologico o enogastronomico. In definitiva, la soluzione è a portata di mano e piuttosto palese. Serve solo lavorare, con le persone giuste, che abbiano una formazione adeguata e che sappiano svolgere la professione, come ribadiamo in questo sito. La Cultura non è solo nei libri, in bocca ai docenti o negli scaffali delle biblioteche. Non è neppure una cosa immanente che staglia e non si muove: va coltivata e vissuta.
Il turismo culturale è il volano del futuro, e i trend positivi non accennano a fermarsi: prenderne coscienza e mettersi all’opera non sarebbe una cattiva idea, o rischiamo di rimanere indietro, per sempre.
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