A volte bisogna fare un passo indietro per poter ricominciare ad andare avanti.

Oggi abbiamo sottoscritto l’appello lanciato da alcuni archeologi per il ritorno alle Soprintendenze Archeologia, che esistevano fino al gennaio 2016. La scelta potrebbe incuriosire chi non è del settore: perché inserirsi in una diatriba che riguarda la forma, la struttura del Ministero? Perché, come movimento spiccatamente interdisciplinare, schierarsi contro delle Soprintendenze multidisciplinari? Perciò vogliamo spiegarvi perché, di fronte a queste Soprintendenze, questa riforma, questa attualità, non solo è necessario tornare in fretta alle vecchie Soprintendenze, ma anche cestinare in toto la riforma Franceschini, fin dalle basi: le Soprintendenze “uniche” sono solo uno dei tasselli di un sistema più ampio, e profondamente sbagliato.

Per chiedere la cancellazione delle Soprintendenze uniche attuali basterebbe dire che non funzionano in nessun modo, come spiega chiaramente l’appello: per come sono state concepite, non riescono affatto a muoversi come un organo interdisciplinare, hanno aumentato la burocrazia e gli orari di lavoro (non pagati) di funzionari e addetti, hanno fatto calare del 50% circa le commissioni per l’archeologia preventiva, e via dicendo. Questo è evidente a chiunque frequenti abitualmente le Soprintendenze, ma non è la cosa più grave.

Era infatti nelle intenzioni della riforma Franceschini che ciò accadesse. Perché, nonostante la propaganda di allora parlasse di “rafforzare i presidi di tutela e semplificare il rapporto tra cittadini e amministrazione” il punto cardine della riforma Franceschini è la separazione totale tra valorizzazione e tutela. Una follia, priva di alcun senso, o meglio funzionale a dividere ciò che produce denaro (e quindi può essere privatizzato, venduto) da ciò che produce “soltanto” conoscenza e tutela. Questo dopo la riforma, sia chiaro, perché prima le Soprintendenze avevano diverse fonti per cercare di autofinanziarsi, e spesso accadeva. Ora tutte quelle fonti di autofinanziamento sono passate o stanno passando ai Poli museali e ai Musei autonomi. E a quel punto è molto meglio avere una Soprintendenza unica: funziona peggio, crea maggiori incomprensioni, disagi e lungaggini, non ha alcun modo per fare comunicazione e coinvolgimento della cittadinanza. Insomma: è molto più facile da definanziare e dismettere qualora ciò diventasse opportuno per tutelare gli interessi di determinati gruppi di potere.

Sia chiaro che questa non è una nostra intuizione o una novità, in tanti l’avevano intuito e detto, tra questi Salvatore Settis in un articolo decisamente attuale: tuttavia dopo due anni questo disegno è sempre più evidente.

Ma dicevamo, i cardini della riforma.

Dividere tutela da valorizzazione non ha alcun senso. Dividere i Musei dai loro archivi non ha alcun senso. Dividere il Ministero in pezzi diversi in litigio tra loro non ha alcun senso. Permettere ai Musei italiani più grandi e famosi di tenere il 70% dei proventi dei loro incassi non ha alcun senso. Le basi portanti della riforma Franceschini non hanno alcun senso, non funzionano neppure per i Musei stessi, quelli che dovrebbero essere la faccia “vincente” della riforma, in quest’ottica di competizione che in nessun modo giova al Patrimonio e al Paese.

In questa situazione, tornare indietro è il primo passo necessario per poter andare avanti. Tornare indietro è il primo passo necessario per non finire in un crepaccio senza via di scampo, in cui il nostro Patrimonio viene pezzo per pezzo privatizzato o dismesso.

Sia chiaro che, certo, lo straordinario sistema di tutela che avevamo ereditato dal passato può essere migliorato, aggiornato. Sia chiaro che l’autonomia museale non è in sé un male,  se fatta in modo radicalmente diverso da quello attuale. Sia chiaro che costringere i musei a rendicontare le spese (cosa che, nonostante gli obblighi di legge, non tutti i musei autonomi stanno facendo) è in sé un bene. Ma sia altrettanto chiaro che la riforma Franceschini si basa su altro, su separazione di tutela e valorizzazione, su iperburocratizzazione volta a rendere inefficace l’azione di tutela del Ministero, su trasformazione in chiave privatistica della nostra tradizione di valorizzazione.

Di fronte a tutto questo, bisogna immediatamente tornare indietro. Poi, una volta leccate le ferite e aggiustati i danni, si potrà serenamente valutare il da farsi per il futuro.


1 Comment

Raffaele Di Costanzo · 08/01/2019 at 11:37

Nemmeno per sogno. Rivedere la riforma nei suoi punti critici va bene, ma tornare indietro proprio no, no e no!!!

Il giorno mar 8 gen 2019 alle ore 11:22 MI RICONOSCI? Sono un

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