Eravate in vacanza? O siete semplicemente confusi dalla massa di eventi e informazioni riguardanti il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali emerse in queste settimane d’agosto? Non avete capito da dove arriva questa preoccupazione per la possibile privatizzazione dei nostri musei? Eccovi un breve riassunto.
Il 7 agosto 2019 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la riforma del Ministero dei Beni Culturali, che era stata approvata per decreto (senza dibattito parlamentare, senza dibattito pubblico) in un Consiglio dei Ministri, il 19 giugno, in cui il tema era tutt’altro. Nè allora, nè il 7 agosto, il Ministero ha rivendicato pubblicamente la riforma, che ha ricevuto critiche da ogni parte (ad esempio qui e qui) per essere fortemente accentratrice e centralista, per la creazione di nuovi uffici di dubbia utilità, e per i poteri enormi consegnati a un uomo di nomina politica, il Segretario Generale.
Il 9 agosto scoppia la crisi di Governo con il colloquio tra Matteo Salvini e il premier Giuseppe Conte. La crisi, come spiegato da alcuni osservatori, sembra mettere a rischio la Riforma del Ministero, dato che alcuni dei decreti attuativi necessari (ad esempio l’organizzazione dei Segretariati interregionali e delle Direzioni territoriali dei musei) hanno carattere politico prima che amministrativo. E sembra davvero difficile che un governo dimissionario possa portarli avanti. Nello stesso giorno viene pubblicato un bando per l’assunzione di 1052 Assistenti alla Fruizione, Accoglienza e Vigilanza (erroneamente chiamati “vigilanti” dall’ufficio stampa del ministero): nei canali social istituzionali, si comunica la pubblicazione del bando ma non la pubblicazione della Riforma.
Il 12 agosto viene chiesto ai Sindacati di offrire il loro parere sui decreti attuativi della riforma entro il 15 agosto. Tre giorni di tempo, con gran parte dei dipendenti in ferie e un governo dimissionario.
La mattina del 14 agosto viene emanato il primo dei decreti attuativi della Riforma: riguarda l’organizzazione dei Musei statali. Il decreto arriva per mail a tutti i dipendenti ministeriali, senza alcun tipo di preavviso, ma non viene pubblicato sul sito del Ministero, essendo un decreto, teoricamente, amministrativo. In realtà i contenuti sono devastanti: il decreto contiene lo spostamento di decine di Musei dai Poli Regionali ad alcuni dei Musei autonomi che vengono trasformati in strani istituti plurimuseali; l’accorpamento delle reti museali di Veneto e Lombardia, Abruzzo e Molise, Puglia e Basilicata; la soppressione dell’autonomia per il Parco Archeologico dell’Appia Antica e delle Gallerie dell’Accademia di Firenze. Tra gli accorpamenti, in particolare, il Cenacolo Vinciano viene accorpato alla Pinacoteca di Brera, i Musei Statali dell’Umbria, delle Marche e del Friuli Venezia-Giulia divengono un unico istituto con un unico direttore, e i Musei Etruschi della Toscana vengono accorpati al Museo di Villa Giulia a Roma, e tanto altro. Molti di questi accorpamenti vengono appresi la mattina stessa dai diretti interessati, leggendo la mail ricevuta dal Ministero.
Il decreto contiene anche un esplicito mandato, per la Direzione Generale Musei, a favorire “la costituzione di fondazioni museali con la partecipazione di soggetti pubblici e privati”. Tale passaggio modifica ed esplicita un compito già assegnato da Franceschini (il testo modificato recitava “favorisce la costituzione, ai sensi degli articoli 112 e 115 del Codice, di consorzi e/o fondazioni museali con la partecipazione di soggetti pubblici e privati”) ma fa saltare sulla sedia diversi dipendenti ministeriali, data l’accusa da noi lanciata e argomentata in febbraio. Sfidando un regolamento ministeriale che gli vieta di parlare con la stampa e divulgare decreti, diversi funzionari mandano il decreto a noi di Mi Riconosci e ad alcuni giornali. Nel comunicato stampa che il Ministero divulga nel pomeriggio del 14 agosto, a questo passaggio sulle fondazioni non si fa cenno.
Il 15 agosto la notizia del decreto che accorpa musei statali e apre con forza alla creazione di fondazioni museali per gestirli diviene di pubblico dominio grazie a un post di Mi Riconosci, con un j’accuse molto esplicito che viene condiviso da centinaia e centinaia di persone (nonostante sia ferragosto).
La mattina del 16 agosto un lungo video pubblicato dal profilo del Ministro Bonisoli illustra una serie di provvedimenti “a rischio” a causa della crisi di Governo. Una serie di interventi successivi di fact-checking dimostrano che gran parte del contenuto del video non risponde al vero. Curiosamente, il video ministeriale non parla della Riforma, né dei decreti attuativi che, nonostante il governo dimissionario, erano stati pubblicati alla vigilia di Ferragosto senza alcun preavviso e confronto.
Nel pomeriggio del 16 agosto il Ministro pubblica un post che vorrebbe, nelle intenzioni, rassicurare quanti hanno visto nei decreti del 14 agosto un forte passo in avanti verso la trasformazione dei musei statali in fondazioni. Essendo il post Facebook non legato ad alcun tipo di legge o decreto, può essere bollato come semplice tentativo propagandistico.
Il 18 agosto su il Fatto Quotidiano (dove un articolo illustra il caos che la riforma comporterà e il rischio di privatizzazioni) il Ministro Bonisoli ammette per la prima volta che la creazione di Fondazioni è “una possibilità per valorizzare il patrimonio”. Ma nega che costituire nuove fondazioni implichi la volontà di “aprire ai privati”. Dato che però sia le leggi italiane sia tutti i precedenti esistenti dicono che le fondazioni che gestiscono il Patrimonio culturale sono presidiate da privati o da dirigenti nominati dalla politica sulla base di amicizie, non si comprende su quale base affermi che non lo implichi. Sempre il 18 agosto, noi di Mi Riconosci lanciamo una petizione per chiedere l’annullamento del decreto di Ferragosto.
Il 20 agosto il Mibac, sotto evidente pressione, annuncia di aver alzato, per decreto, dal 20 al 25% la percentuale di introiti che i Musei autonomi versano allo Stato per la valorizzazione degli altri musei: ma, dato che ora i Musei autonomi hanno accorpato decine di Musei che prima sostenevano coi loro introiti i Poli museali regionali, tale mossa appare del tutto incapace di scalfire gli effetti deleteri del decreto di Ferragosto.
Nonostante la pubblicazione nei giorni di Ferragosto, tra il 14 e il 22 agosto si sono levate contro questa riforma e in particolare contro il decreto di Ferragosto, oltre alla nostra, le voci di esponenti di Lega, Movimento 5 Stelle, PD, altri di centrodestra, sindacati regionali e nazionali, sindaci, governatori di regione, associazioni, collettivi universitari, giornali, e la lista di comunicati contro la riforma si allunga di ora in ora (le più recenti di cui siamo a conoscenza sono qui e qui). Nonostante un regolamento ministeriale che vieta ai dipendenti di rilasciare dichiarazioni pubbliche.
Questo è ciò che è successo. O perlomeno un breve sunto. Capite da soli perché è necessario uscire nelle strade e nelle piazze per spiegare alla politica che il nostro Patrimonio culturale non si accorpa né si privatizza: è ciò a cui stiamo lavorando, e se volete aiutarci nella costruzione di una lotta efficace, scriveteci a miriconosci.beniculturali@gmail.com
1 Comment
Gianluigi · 26/08/2019 at 10:29
Bonisoli è un evidente inetto (del resto è un 5stelle) ma affermare che i musei non si accorpano e non si privatizzano è una affermazione ignorante. Magari i principali musei fossero gestiti secondo logiche “commerciali” (eviteremmo le chiusure domenicali o quelle per scioperi improvvisi o per “carenze di personale” (sempre al netto di quelli che sono in malattia, al bar o a fare la spesa….) etc. Forse non avete mai frequentato gli splendidi ed efficientissimi musei stranieri in mano a Trust o Fondazione? O non conoscete le splendide realtà già oggi totalmente private nella gestione e totalmente pubbliche nella fruizione che in Italia esistono e funzionano? Il problema sono sempre le regole che il pubblico mette all’agire dei privati: REGOLARE non GESTIRE, questo dovrebbe essere il compito di un “pubblico” intelligente (anche per evitare clientele, occupazioni di potere, ritardi, burocrazia, etc). E basterebbe che per ogni ente “privatizzato” si imponesse l’adozione di un ente “proporzionalmente più piccolo e secondario” per ovviare al (teorico) rischio di eccessiva “selezione naturale”…….. L’impressione è che chi difende l’inefficace ed inefficiente status quo si preoccupi solo della pletorica, inutile (e soprattutto locale) pianta organica della gestione della cultura italiana