II.VII ESPERTO DI DIAGNOSTICA E TECNOLOGIA APPLICATA AI BENI CULTURALI
Chi è e che cosa fa
Gli esperti di diagnostica e di scienze e tecnologie applicate ai beni culturali sono coloro in possesso della laurea magistrale LM-11, i cui corsi universitari sono erogati su approvazione del Miur secondo le tabelle ministeriali già in vigore, insieme alle lauree equipollenti specificate dal Miur. Tale corso magistrale è la naturale prosecuzione del corso di laurea triennale L-43, che permette l’abilitazione a collaboratore di restauro, ma i requisiti minimi di accesso possono essere specificati dalle singole università, permettendone l’apertura anche ai laureati L-01.
Il diagnosta grazie alla sua formazione multidisciplinare nel campo delle scienze matematiche, fisiche, chimiche e naturali, di scienze e ingegneria dei materiali, dell’archeologia, dell’architettura, del restauro e nelle discipline storico-artistiche è potenzialmente in grado di:
– applicare varie tecniche fisiche e chimiche per la determinazione delle proprietà dei materiali, effettuare indagini di laboratorio con tecniche sia convenzionali che avanzate, sia con strumentazione portatile che con strumentazione complessa di laboratorio, interpretando con competenza i dati scientifici raccolti per ottenere informazioni utili sui beni culturali intesi come beni archivistici, manufatti storico-artistici e archeologici, strutture architettoniche, beni ambientali e paesaggistici, beni di interesse scientifico-naturalistici;
– intervenire nella progettazione di tutte le fasi di intervento sul bene culturale allo scopo di ottenere risultati per la conoscenza e la conservazione dello stesso, fornendo indicazioni sullo stato di degrado, sui materiali e sulle tecniche impiegate per la sua realizzazione, sulla sua autenticità, sulla sua datazione e sui fenomeni di degrado in atto;
– progettare interventi per contrastare gli effetti di degrado del bene culturale definendo piani di indagine diagnostica e di monitoraggio prima, durante e dopo il restauro, attraverso l’individuazione delle metodologie diagnostiche più idonee, il numero e i punti delle prove da eseguire nel rispetto dei principi di non distruttività e non invasività delle analisi;
– progettare le fasi di conservazione del bene culturale, monitorando l’efficacia dell’intervento di restauro e lo stato della conservazione nel tempo, definendo le fasi di manutenzione;
– dirigere progetti di diagnostica e/o di conservazione dei beni culturali;
– individuare le sostanze e i materiali ideali per la fase di restauro, definendo anche nuovi materiali per l’applicazione nel settore del restauro;
– determinare le condizioni di conservazione e di monitoraggio non solo nella fase di allestimento attraverso impianti microclimatici e nella fase di trasporto del bene culturale, ma anche negli archivi, biblioteche, ambienti di deposito e esposizioni permanenti;
– effettuare ricerca relativa ai materiali e ai processi di degrado;
– collaborare nella progettazione e realizzazione di sistemi di catalogazione, di programmi di valorizzazione, di percorsi espositivi e di sistemi informativi per la gestione e la comunicazione di informazioni relative ai beni culturali grazie a studi di museologia e di tecniche di conservazione combinati con conoscenze informatiche e multimediali per la divulgazione e la valorizzazione, lavorando all’interno di musei, pinacoteche, aree e parchi archeologici, musei scientifici, parchi, mostre scientifiche e complessi monumentali per l’esposizione museale e la creazione dei sistemi informativi;
– eseguire analisi per il monitoraggio ambientale nell’ambito dei beni naturalistici e prendere parte alle commissioni paesaggistiche e territoriali;
– sviluppare strumentazioni e procedure per l’indagine diagnostiche e per la conservazione preventiva;
– partecipare a bandi di concorso e/o gare di appalto che prevedono indagini fisico-chimiche per la diagnostica applicata ai beni culturali;
– ottenere grazie alle indagini scientifiche informazioni non riscontrabili a occhio nudo o nelle fonti storiche riguardanti autenticità, datazione e tecniche di esecuzione utili per lo studio sui procedimenti di un artista nell’esecuzione di un’opera o, per reperti archeologici, per ricostruire i procedimenti tecnici e produttivi, definendo i rapporti culturali esistenti, gli ambienti e i paesaggi;
– collaborare con team multidisciplinari in cui le sue competenze si integrano con quelle dello storico dell’arte, dell’archeologo, del restauratore, dell’ingegnere, dell’architetto, del biologo, del fisico o del chimico, dimostrando di sapersi adattare a diversi ambiti lavorativi e tematiche varie e di poter dirigere gruppi di lavoro e pianificare interventi di diagnostica con gruppi costituiti da diverse figure professionali;
L’esperto di diagnostica costituisce pertanto una figura professionale di importante supporto per la tutela dei beni culturali operante sia in enti pubblici che privati nell’ambito della ricerca, del restauro, della storia dell’arte, dell’archeologia, dell’archivistica, dell’architettura e dei beni naturalistici. Risulta perciò un professionista essenziale all’interno del MiBACT, capace di elaborare piani diagnostici propedeutici alla progettazione di interventi di restauro, di manutenzione e monitoraggio dei beni culturali e dovrebbe essere da tempo considerato un elemento cardine per tutte le soprintendenze, per i comitati tecnico scientifici, gli Istituti centrali e dotati di autonomia speciale, per le commissioni regionali e provinciali per il patrimonio culturale.
Gli ambiti precedentemente indicati devono prevedere quindi necessariamente una fase diagnostica tenuta da diagnosti, che devono essere previsti come componente essenziale nell’organico di musei, ditte di restauro, archivi e biblioteche, enti pubblici e privati che si occupano di conservazione, tutela e valorizzazione dei beni culturali.
Variazioni normative e accesso al ruolo di restauratore
Il corretto svolgimento di questa professione è stato però ostacolato da numerose modifiche legislative e diverse incongruenze.
Ricordiamo prima di tutto l’evoluzione normativa subita dalle classi di laurea L-43 e LM-11:
– Il D.M. 270 del 2004 istituisce i corsi di laurea triennale e magistrale in Tecnologie per la Conservazione e il Restauro e in Scienze per la Conservazione e il Restauro, con i rispettivi codici L-43 e LM-11, che garantiscono uno studio scientifico delle problematiche e delle metodologie di indagine e di conservazione, permettendo l’accesso anche alla figura di restauratore attraverso un tirocinio di tre anni presso istituti specializzati dopo la laurea magistrale.
– Con il D.I. 87/2009 viene istituito il corso di laurea magistrale a ciclo unico abilitante alla professione di restauratore dei beni culturali. Tale istituzione è bloccata sino alla promulgazione del D.M. 2/03/2011.
– Il bando pubblicato nella G.U. 75 del 29 settembre 2009 consente ai laureati nella classe L-M11 l’accesso al concorso per restauratore (equiparando il titolo di studio a quello rilasciato dagli istituti del MiBACT) e ai laureati nella classe L-43 l’accesso al ruolo di collaboratori per il restauro. Tale bando è bloccato per intervento del MiBACT con nota del 25 giugno 2010.
– In seguito a tale evento, con il D.M. del 28 dicembre 2010 pubblicato in G.U. 123 il 28 maggio 2011 vengono modificate le classi di laurea L43 e LM11 ed il titolo rilasciato non consente l’accesso alle professioni nel campo dei beni culturali.
– Con il D.M. del 2 marzo 2011 pubblicato in G.U. 139 del 17 giugno 2011 vengono definiti i criteri di attivazione del corso di laurea quinquennale a ciclo unico in Conservazione e Restauro della classe LMR-02 e stabilite le modalità di transito degli studenti dai corsi delle classi L-43 e LM-11 al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Restauro dei beni culturali LMR-02. Tale transito è stato successivamente bloccato.
– Con la legge n. 7 del 14 gennaio 2013 pubblicata in G.U. 25 del 30 gennaio 2014 vengono modificate le norme transitorie per l’accesso alla professione di restauratore, riservando ai laureati delle classi L-43 e LM-11 di partecipare al concorso abilitante rispettivamente come collaboratore di restauro e restauratore.
– Il 25 giugno 2014 è approvata la “Modifica al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di professionisti dei beni culturali, e istituzione di elenchi nazionali dei suddetti professionisti”, in cui viene riconosciuto il diagnosta.
I percorsi formativi per divenire diagnosta, figura diversa dal restauratore ma ad esso necessariamente complementare, permettevano quindi anche un accesso al ruolo di collaboratore-restauratore e restauratore, secondo modalità variate nel corso degli anni.
Con la registrazione da parte della Corte dei conti, in data 6 agosto 2014, del decreto ministeriale 13 maggio 2014 di approvazione delle Linee guida applicative dell’articolo 182 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, si è avviata quindi la procedura prevista dalla disciplina transitoria (legge n. 7 del 14 gennaio 2013) per il conseguimento delle qualifiche professionali di restauratore di beni culturali e collaboratore restauratore di beni culturali, che hanno visto coinvolte le classi L-43 ed LM-11. In particolare, il 12 settembre 2014 è stato indetto il bando per il conseguimento della qualifica di collaboratore restauratore dei beni culturali che, nelle more dell’attuazione dell’articolo 29, comma 10, ha previsto l’attribuzione di tale qualifica a coloro i quali, in esito ad apposita procedura di selezione pubblica indetta entro il 31 dicembre 2012, alla data di pubblicazione del bando fossero stati in possesso di laurea specialistica in Conservazione e restauro del patrimonio storico-artistico (12/S) o la laurea magistrale in Conservazione e restauro dei beni culturali (LM-11), o il diploma di laurea in Conservazione dei beni culturali, se equiparato dalle università alle summenzionate classi, ai sensi dell’articolo 2 del decreto del Miur 9 luglio 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 233 del 7 ottobre 2009, o a coloro che avessero conseguito la laurea in Beni culturali (L-01) o in Tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali (L-43). Inoltre, hanno potuto acquisire tale qualifica coloro i quali, previo superamento di una prova di idoneità, secondo modalità che saranno stabilite con l’emanazione di un decreto ministeriale, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro il 30 giugno 2014, avessero conseguito i titoli suddetti nel periodo compreso tra il 31 ottobre 2012 e il 30 giugno 2014. Al riguardo, si segnala l’incongruenza del termine iniziale (31 ottobre 2012), in considerazione del fatto che, in base al comma 1-sexies, chi possiede i requisiti alla data di pubblicazione del bando della selezione pubblica (che sarebbe dovuta essere il 31 dicembre 2012), acquisisce direttamente la qualifica. Il bando per collaboratore restauratore si è poi concluso il 24 ottobre 2014, tuttavia i risultati sono stati pubblicati, dopo numerose proroghe e diversi errori di pubblicazione, solo il 25 marzo 2016.
Nel frattempo il MiBACT ha aperto il bando per il conseguimento della qualifica di restauratore il 22 giugno 2015 e le procedure dello stesso concorso si sono svolte dal 31 agosto al 30 ottobre 2015, con esiti fissati per il 31 maggio 2016 e la possibilità di un’ulteriore proroga di 60 giorni. Nello specifico, il comma 1 dell’art.182 del Codice stabilisce che acquisisce tale qualifica colui che ha maturato, nell’ambito dei beni culturali mobili e delle superfici decorate dei beni architettonici, una “adeguata competenza professionale”. In tale ultima espressione sono, in realtà, inclusi i titoli di studio conseguiti, nella misura in cui in un caso è prevista l’attribuzione della qualifica in totale mancanza di esperienza lavorativa. Inoltre, si dispone che la qualifica in questione è attribuita, in esito ad una procedura di selezione pubblica, con provvedimenti del Ministero che danno luogo all’inserimento in un elenco “suddiviso per settori di competenza” (primo periodo del comma), ovvero in più elenchi (terzo periodo del comma), tra quelli individuati dalla parte II dell’allegato B, che ricalcano sostanzialmente i percorsi formativi professionalizzanti previsti dall’allegato B del D.M. 87/2009 e, dunque, anche gli ambiti di competenza da scegliere per lo svolgimento di alcune prove, indicati nell’allegato A del D.I. 53/2009. Alla luce del combinato disposto comma 1 che fa riferimento ad un elenco dei restauratori suddiviso per settori di competenza, ovvero a più elenchi, sarebbe stato opportuno chiarire se resti ferma la “unicità della professione di restauratore” così come prevista all’art.2, comma 2, del D.M. 87/2009. La procedura di selezione pubblica consiste, ancora una volta, nella valutazione dei titoli di studio e delle attività svolte, nonché nell’attribuzione dei relativi punteggi, secondo quanto indicato nella I parte dell’allegato B (tabelle 1,2 e 3). Per acquisire la qualifica di restauratore dei beni culturali è necessario raggiungere il punteggio di 300, pari al numero di crediti formativi fissato dall’art.1 del D.M. 87/2009. Nell’elenco saranno altresì inseriti, i nominativi di coloro i quali risulteranno abilitati alla professione di restauratore ai sensi del D.M. 26 maggio del 2009, n 87, trattasi degli allievi a ciclo unico che avendo superato l’esame finale avente valore di esame di Stato abilitante alla professione del restauratore, hanno conseguito la laurea magistrale LMR-02, o il diploma accademico di secondo livello, o altro diploma equiparato alla predetta laurea magistrale, così come previsto dall’articolo 1, comma 3, del D.M. 87/2009. In tal caso ai fini dell’inserimento nell’elenco, si terrà conto dei percorsi Formativi Professionalizzanti previsti dall’Allegato B del D.M. 87/2009, per cui sarà possibile chiedere l’iscrizione in più settori. Nello specifico, la tabella 1 prevede l’attribuzione dei seguenti punteggi:
- 300 punti per il Diploma conseguito presso una scuola si restauro statale di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n.368 (Scuole di alta formazione e di studio che operano presso l’Istituto centrale del restauro, l’Opificio delle pietre dure e l’Istituto centrale per la patologia del libro);
- 75 punti per ciascun anno di durata del corso per:
– Diploma conseguito presso una scuola di restauro statale di durata almeno biennale;
– Attestato di qualifica professionale conseguito presso una scuola di restauro regionale ai sensi dell’articolo 14 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, ovvero titoli esteri ritenuti equipollenti nell’ambito della procedura di selezione pubblica;
- 50 punti per ciascun anno di durata del corso per:
– Diploma in Restauro di primo o di secondo livello, conseguito presso le Accademie di belle arti, con almeno un insegnamento annuale in restauro per ciascun anno di corso;
– Titoli riconosciuti equipollenti al diploma in Restauro conseguito presso le Accademie di belle arti;
- 37,50 punti per ciascun anno di durata del corso per:
– Laurea in Beni culturali (L-01) o in Tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali (L-43);
– Laurea specialistica in Conservazione e restauro del patrimonio storico – artistico(12/S);
– Laurea magistrale in Conservazione e restauro dei beni culturali (LM-11);
– Diploma di laurea in Conservazione dei beni culturali, se equiparato dalle università alle classi 12/S o LM-11, ai sensi dell’articolo 2 del decreto ministeriale 9 luglio 2009;
Per quanto riguarda l’attribuzione di tali punteggi si segnala che, nella seduta della 7a Commissione del Senato del 18 settembre 2012, il sottosegretario competente ha sollecitato una valutazione più congrua dei titoli universitari (compresa quindi la LM-11), considerando il punteggio di 37,50 per ogni anno di corso eccessivamente inferiore a quello degli altri titoli di studio, con particolare riferimento al caso degli attestati di qualifica professionale conseguite presso le scuole di restauro regionali, cui è attribuito un punteggio di 75 per ciascun anno. Tali sollecitazioni però non sono state prese in considerazione.
I punteggi relativi ai titoli di studio sono cumulabili solo fra loro, entro il punteggio complessivo di 200, nel modo seguente: la laurea nella classe L-1 o L-43 è cumulabile con la laurea specialistica nella classe 12/S, con la laurea magistrale nella classe LM-11 o con il diploma di secondo livello in Restauro delle Accademie di belle arti. Tali titoli di studio devono essere conseguiti alla data del 30 giugno 2012, nonché per quelli conseguiti entro la data del 31 dicembre 2014 da coloro i quali risultino iscritti ai relativi corsi alla data del 30 giugno 2012.
Il comma 1-quinquies dell’art.182 del Codice prevede inoltre la possibilità di acquisire la qualifica di restauratore previo superamento di prove di idoneità distinte in relazione alla platea cui si riferiscono, con valore di Esame di Stato abilitante, in particolare:
– Alla prima prova di idoneità possono accedere coloro che hanno acquisito la qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali, ai sensi del comma 1-sexies dell’art.182.
C’era quindi da tener conto della consequenzialità esistente tra le procedure di individuazione dei collaboratori restauratori e la valutazione del possesso della relativa qualifica ai fini del conseguimento della qualifica di restauratore. Infatti, le procedure dovevano articolarsi in distinte fasi, al termine delle quali sarebbero stati formalizzati i provvedimenti (commi 1-bis e 1-octies) di inserimento degli interessati nei rispettivi settori dell’elenco, ma i ritardi nella costituzione della Commissione di valutazione delle domande pervenute al Ministero e della successiva pubblicazione dell’elenco dei collaboratori, avvenuta ben oltre la chiusura del bando relativo alla qualifica dei restauratori per i beni culturali, non ha di fatto permesso l’iscrizione al suddetto concorso agli oltre 10.000 aventi diritto, in quanto collaboratori restauratori riconosciuti dallo stesso Ministero.
– Alla seconda prova d’idoneità – che si svolge presso le istituzioni sede dei corsi di secondo livello (Università o Accademie di belle arti) – possono accedere coloro che, attraverso un percorso di studi di durata complessiva almeno quinquennale, abbiano conseguito la laurea o il diploma di primo livello in Restauro delle Accademie di belle arti, nonché la laurea specialistica o magistrale o il diploma accademico di secondo livello in Restauro delle Accademie di belle arti, corrispondenti ai titoli previsti nella tabella 1 dell’allegato B.
Letteralmente il provvedimento sembrerebbe essere riferito, oltre che al diploma accademico in restauro di primo o secondo livello, conseguito presso le Accademie di belle arti, alle sole classi di laurea L-1 ed L-43, alla classe di laurea specialistica 12/S e alla classe di laurea magistrale LM-11.
I bandi, il lavoro: alcune criticità
Il concorso abilitante ha messo in serie difficoltà coloro che non avevano un diploma accademico o una laurea in un corso quinquennale di restauro, portandoli all’esclusione automatica da numerosi bandi nel settore pubblico. Il primo corso universitario quinquennale di restauro, difatti, è stato istituito a Torino per l’anno accademico 2011-12, con gli iscritti del primo anno che potranno laurearsi soltanto a partire dal 2016. Tuttavia, molti recenti bandi di restauro hanno da subito richiesto una laurea quinquennale a ciclo unico, dimenticando questa complicata situazione. Un esempio è costituito dal bando di concorso per cinque restauratori di materiale lapideo per il sito archeologico di Pompei risalente a maggio 2015, nel quale si richiedevano laureati del corso LMR-02 con almeno quattro anni di esperienza lavorativa.
Per quanto riguarda la figura del diagnosta, questa non è inclusa all’interno dei bandi pubblici da numerosissimi anni. È evidente difatti anche nel più recente bando per l’assunzione di 500 funzionari ministeriali promosso dal D.M. del 15 aprile 2016, dove si fa riferimento ai laureati della classe LM11 solo per concorrere alla figura del restauratore, mentre è completamente assente il diagnosta, che è la principale e fondamentale figura formata dalla classe di laurea LM11, come figura a sé stante. Per un’alta funzionalità è necessario rispettare un turnover fisiologico, in modo da compensare il personale naturalmente in uscita con nuovo personale, in modo da non sacrificare la qualità dei servizi svolti dagli istituti e uffici ministeriali. ICR, ICRPAL e OPD al momento difettano di una carenza di personale, con chiare ripercussioni nel mantenimento di determinati ritmi e qualità con un depauperamento delle sue potenzialità operative. La maggior parte del personale attualmente impiegato è ora alle soglie della pensione e molti, rispetto al personale iniziale, hanno già lasciato l’istituto senza un ricambio generazionale. La situazione è stata più volte denunciata nelle relazioni di bilancio e con l’ultimo concorso non è stato posto rimedio a una mancanza della figura del diagnosta.
Il diagnosta risulta una delle figure più assenti nell’organico ministeriale, sebbene sia assolutamente necessario soprattutto nei comitati tecnico-scientifici, negli Istituti centrali e dotati di autonomia speciale, nelle commissioni regionali e provinciali per il patrimonio culturale e nelle soprintendenze.
Le Soprintendenze svolgono le funzioni di catalogazione e tutela nell’ambito del territorio di competenza, autorizzano l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere sui beni culturali, partecipano ed esprimono pareri, riferiti ai settori e agli ambiti territoriali di competenza, assicurano la tutela dei beni culturali, amministrano e controllano i beni dati loro in consegna, eseguono sugli stessi i relativi interventi conservativi, svolgono attività di ricerca sui beni culturali e paesaggistici, autorizzano i poli museali regionali al prestito di beni storici, artistici ed etnoantropologici per mostre od esposizioni sul territorio nazionale o all’estero. Tali compiti non possono escludere la fase diagnostica, in quanto risulta essenziale per le fasi di ricerca, restauro, conservazione e tutela dei beni culturali, nonché per valutazioni chimico-fisiche sui beni in modo da poter capire se il prestito possa costituire un pericolo per il bene o per seguirne le fasi di trasporto ed esposizione durante le mostre. È quindi essenziale che sia presente nell’organico di tutte le soprintendenze un team di diagnosti e tutta la relativa strumentazione necessaria per svolgere al meglio i compiti che tali organi devono eseguire.
È chiaro, quindi, che il diagnosta è una figura spesso dimenticata o paradossalmente sconosciuta quando si parla di professionisti nel settore bei beni culturali. Nei bandi di concorso relativi ai beni culturali difatti non sono figure richieste, anzi, si presentano solitamente due casi:
– nonostante le competenze ricercate siano esattamente quelle dell’esperto di diagnostica applicata ai beni culturali, i professionisti che possono partecipare al bando sono biologi, ingegneri, fisici, chimici;
– gli interventi da eseguire nel campo della conservazione e del restauro dei beni culturali che esigono l’assunzione di personale qualificato non prevedono la necessaria fase di diagnostica, causando di conseguenza l’automatica esclusione del diagnosta dal concorso.
Sono quindi evidenti due grandi problematiche. Da un lato non viene riconosciuta l’importanza della diagnostica nei diversi ambiti elencati precedentemente, dall’altro lato, nel momento in cui si ritiene indispensabile l’esecuzione di indagini scientifiche relative ai beni culturali non viene riconosciuto l’esperto di diagnostica applicata, nonostante la sua preparazione scientifica sia specializzata proprio nel campo dei beni culturali e abbia competenze specifiche per comprendere il bene culturale oggetto dell’analisi, fornendo la chiave giusta per congiungere le informazioni scientifiche ricavate con le informazioni storico-artistiche e risultando, di conseguenza, una figura più completa rispetto a fisici, chimici e ingegneri che si interessano di beni culturali. Il carattere fortemente multidisciplinare della formazione di un diagnosta, infatti, gli permette di integrarsi e interagire con colleghi di discipline diverse, coniugando saperi scientifici e umanistici e riuscendo ad individuare la tecnica migliore per l’analisi con le corrette zone di campionamento e ad affrontare i complessi problemi scientifici relativi alla conservazione dei beni culturali grazie ad una corretta interpretazione dei risultati ottenuti in funzione del contesto in cui deve operare. Grazie alla sua peculiare formazione disciplinare, che comprende anche conoscenze in ambito giuridico, il diagnosta dovrebbe poter partecipare a concorsi per posti dirigenziali nell’ambito di organi pubblici ed enti privati in materia di gestione e di cantieri inerenti ai beni culturali, diversamente da altre figure professionali quali ingegneri, architetti, fisici e chimici che hanno carenze in ambito giuridico applicato ai beni culturali e nelle varie discipline storico-artistiche, restando però figure essenziali all’interno dell’équipe.
La diagnostica fornisce inoltre un supporto scientifico, antecedente all’intervento di restauro, che permette di riconoscere subito il degrado e intervenire tempestivamente, favorendo una manutenzione del bene assolutamente necessaria. Il deterioramento, infatti, porta alla perdita materiale dell’opera e a una conseguente diminuzione della sua leggibilità, limitando anche il valore culturale e civile del bene. L’intervento di restauro è un’operazione invasiva che deve essere lasciata come ultima possibilità per salvare il bene culturale, pertanto bisogna favorire la corretta conservazione dell’opera o del manufatto con indagini diagnostiche cicliche e attraverso un’azione di manutenzione e prevenzione continua nel tempo, che risultano inoltre vantaggiosamente più economiche e sostenibili di un singolo ed urgente lavoro di restauro. Per l’esecuzione di un lavoro corretto sull’opera è quindi necessaria una collaborazione equilibrata tra le diverse figure professionali, ognuna delle quali possiede specifiche competenze non compensabili da altre figure. La diagnostica risulta essere indispensabile negli ambiti precedentemente elencati, soprattutto nel restauro e negli allestimenti museali. Il restauro e la conservazione di un bene culturale non possono assolutamente prescindere da un corretto intervento diagnostico, così come non può prescindere da una buona qualità dei materiali e dei metodi utilizzati. Difatti, una problematica nella realizzazione di lavori per la conservazione e il restauro dei beni culturali riguarda le gare di appalto a ribasso, situazione che si verifica soprattutto nell’ambito del restauro architettonico. Spesso le ditte vincitrici dell’appalto non hanno specifiche competenze nel campo del restauro e della diagnostica e gli operatori coinvolti sono costretti a utilizzare tecniche più economiche ma anche meno adeguate per i beni culturali. Si deve pertanto assegnare l’appalto a ditte specializzate, senza subappalti, considerando la qualità del progetto proposto con le relative tecniche e strumentazioni, permettendo la partecipazione di ditte di edilizia e restauro, considerandola idonea per il restauro solo nel caso in cui abbia sia disponibilità di materiale e strumenti adeguati per poter operare sia un team di restauratori, collaboratori di restauro e diagnosti per poter eseguire correttamente il restauro.
A causa delle ambiguità e dei repentini cambiamenti normativi che hanno penalizzato i professionisti operanti nel campo della diagnostica e del restauro, è evidente la necessità di una chiara promulgazione legislativa che abbia un’applicazione lineare nel tempo e che tenga conto della reale situazione in cui si inserisce, senza che questa contrasti con impliciti risvolti retroattivi, affinché non si ostacoli l’attività svolta dagli operatori e i percorsi formativi mirati intrapresi dagli studenti. Le modifiche degli ultimi sette anni, infatti, hanno frenato diversi professionisti nell’ambito del restauro, sebbene all’atto di immatricolazione i corsi di laurea fossero considerati legalmente abilitanti alla professione di restauratore attraverso un tirocinio formativo aggiuntivo. La validità di tali corsi di laurea è annualmente verificata e approvata dal MIUR, per cui il percorso eseguito ha sempre avuto un riconoscimento legale, che non dovrebbe essere contrastato dai contemporanei cambiamenti promossi dal MiBACT. Le modifiche legislative devono avere quindi validità per gli iscritti a partire dall’anno in cui la legge è stata promulgata.
Il percorso formativo, i requisiti professionali, alcune proposte
La figura lavorativa del diagnosta:
il diagnosta con l’abilitazione all’esercizio della professione deve essere considerato colui che con l’esame di laurea entra in possesso de titolo di laurea magistrale LM-11 o di lauree magistrali in chimica, fisica e ingegneria, rispettando tuttavia i seguenti requisiti minimi, dal momento che la multidisciplinarietà di tale figura è essenziale per i ruoli e gli ambiti in cui si applica:
CFU | SSD |
24 | CHIM/01 – Chimica analitica
CHIM/02 – Chimica fisica CHIM/03 – Chimica generale e inorganica CHIM/04 – Chimica industriale CHIM/06 – Chimica organica CHIM/12 – Chimica dell’ambiente e dei beni culturali |
24 | ICAR/18 – Storia dell’architettura
ICAR/19 – Restauro L-ANT/01 – Preistoria e protostoria L-ANT/06 – Etruscologia e antichità italiche L-ANT/07 – Archeologia classica L-ANT/08 – Archeologia cristiana e medievale L-ANT/10 – Metodologie della ricerca archeologica L-ART/01 – Storia dell’arte medievale L-ART/02 – Storia dell’arte moderna L-ART/03 – Storia dell’arte contemporanea L-ART/04 – Museologia e critica artistica e del restauro musulmana M-STO/05 – Storia della scienza e delle tecniche M-STO/08 – Archivistica, bibliografia e biblioteconomia |
12 | FIS/01 – Fisica sperimentale
FIS/03 – Fisica della materia FIS/04 – Fisica nucleare e subnucleare FIS/06 – Fisica per il sistema terra e per il mezzo circumterrestre FIS/07 – Fisica applicata (a beni culturali, ambientali, biologia e medicina) |
12 | BIO/01 – Botanica generale
BIO/02 – Botanica sistematica BIO/03 – Botanica ambientale e applicata BIO/05 – Zoologia BIO/07 – Ecologia BIO/08 – Antropologia BIO/19 – Microbiologia generale GEO/01 – Paleontologia e paleoecologia GEO/02 – Geologia stratigrafica e sedimentologica GEO/05 – Geologia applicata GEO/06 – Mineralogia GEO/07 – Petrologia e petrografia GEO/08 – Geochimica e vulcanologia GEO/11 – Geofisica applicata GEO/09 – Georisorse minerarie e applicazioni mineralogico-petrografiche per l’ambiente e i beni culturali |
12 | ING-IND/11 – Fisica tecnica ambientale
ING-IND/21 – Metallurgia ING-IND/22 – Scienza e tecnologia dei Materiali ING-INF/05 – Sistemi di elaborazione delle Informazioni MAT/06- Probabilità e statistica MAT/09 – R ricerca operativa SECS-S/01- Statistica SECS-P/02 – Politica economica |
Tali requisiti devono essere fondamentali per poter accedere all’elenco dei diagnosti previsto dalla legge Madia 110/2014, e costituire la base per una seguente legislazione che istituisca requisiti sempre vincolanti per svolgere la professione del diagnosta.
Il diagnosta con lauree L-43/L-01 e LM-11 inoltre deve poter acquisire la qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali e restauratore di beni culturali, previo superamento di una prova di idoneità, e quindi accedere agli elenchi che saranno previsti per tali figure. I futuri bandi per l’acquisizione della qualifica devono rispettare i criteri già utilizzati per il bando di collaboratore restauratore del 12 settembre 2014 e per il bando di restauratore del 22 giugno 2015, altrimenti si creerebbe un contenzioso relativo a un trattamento differente per individui con medesimo titolo di studio acquisito però in anni accademici differenti. Tali bandi per l’acquisizione di suddette qualifiche devono avere decorrenza annuale ed essere reiterati ciclicamente con relativo esame di stato abilitante immediatamente successivo alla chiusura del bando, in quanto tempistiche maggiori inficerebbero l’attività di coloro che hanno conseguito la laurea dopo il 30 giugno 2014 e dei neolaureati. L’acquisizione della qualifica di restauratore e collaboratore restauratore non deve precludere l’accesso all’elenco dei diagnosti. Diversamente da un albo professionale in cui si accede tramite esame di stato, gli elenchi previsti dalla legge 110/2014 devono presentare l’acquisizione dei nominativi dei professionisti tramite selezione pubblica senza un esame di stato, ma con accesso diretto sulla base dei titoli di studio acquisiti. Il conseguimento di più qualifiche quindi deve permettere l’accesso a più elenchi. Pertanto, il diagnosta che avrà acquisito anche il titolo di restauratore o collaboratore restauratore potrà essere ammesso negli elenchi per la figura di diagnosta, collaboratore restauratore e restauratore ed esercitare liberamente in tali campi.
Per massimizzare le competenze dei professionisti esperti in diagnostica e contribuire alla formazione di un personale di alta formazione, in modo da poter proseguire la ricerca e la dialettica sul restauro e la diagnostica che hanno caratterizzato l’Italia nel Novecento e portato il settore a essere riconosciuto come un’eccellenza italiana, si ritiene ci sia bisogno di un potenziamento nei seguenti settori:
– Università: concorrere alla promulgazione di dottorati di ricerca specifici all’interno di diversi settori disciplinari per le diverse branche della diagnostica, così da approfondire e ottenere una personale specializzazione sui dei molteplici aspetti della diagnostica affrontati nei corsi universitari e continuare la ricerca nei campi dell’archeometria, del restauro e della conservazione dei beni culturali. Devono quindi essere previsti sia in ambito scientifico che umanistico nei settori ING-IND, FIS, CHIM, L-ART, L-ANT, ICAR, BIO, GEO e ING-INF dei moduli per la diagnostica all’interno dei dottorati di ricerca.
– Musei e mostre: fornire gli strumenti minimi adeguati nelle strutture di conservazione dei beni culturali, così da monitorare la condizione delle opere e dei manufatti, creare l’ambiente adatto, riconoscere e intervenire tempestivamente sul degrado. Negli articoli 34 e 35 del D.P.C.M. 29 agosto 2014, n. 171 è infatti indicato che i musei regionali svolgono attività di ricerca e che tutti musei sono dotati di autonomia tecnico-scientifica per assolvere alle funzioni di tutela, valorizzazione e studio. La maggioranza dei musei, tuttavia, attualmente difetta di una strumentazione scientifica e di un allestimento accurato e utile alla didattica e alla fruizione del bene, causando una sostanziale incuria e un mancato interesse dal punto di vista turistico.
– Formazione: 1) master di secondo livello di durata annuale specifico per le cariche dirigenziali più alte della figura di funzionario con particolare attenzione a materie economiche e di diritto utili per il ruolo di gestione a cui si aspira, senza ripetizione delle discipline già oggetto di studio durante l’acquisizione della laurea triennale e magistrale; 2) corsi di aggiornamento facoltativi della durata massima di una settimana in ambiti specifici di restauro e di tecniche diagnostiche.
È necessario considerare il master come un corso part-time economicamente accessibile, in modo da non precluderne l’accesso su basi finanziarie, da tenersi in più sedi possibili. I corsi di aggiornamento devono essere funzionali all’ambito che il diagnosta o il restauratore vuole approfondire, in dipendenza dalle proprie volontà e necessità, e devono considerarsi brevi, in quanto si inseriscono come conoscenze approfondite o aggiornate su basi già acquistate e consolidate. Tali corsi, in quanto facoltativi, non devono considerarsi come requisiti minimi all’interno dei bandi di concorso ma possono essere considerati come requisiti supplementari nella valutazione del profilo personale.
5 Comments
RICCARDO FAEDDA · 01/06/2016 at 22:52
Inserirei allo stesso modo il ”CONSERVATORE DEI BENI ARCHITETTONICI E AMBIENTALI”, figura professionale ugualmente trascurata dal Legislatore (anzi, proprio dimenticata…) ma dalle professionalità fondamentali per l’architettura storica e l’architettura monumentale.
Diagnosti e Conservatori (e altri operatori dei BB. CC.) dovrebbero avere diritto ad un’adeguata collocazione nel mercato del lavoro. Diversamente perchè hanno tirato sù queste peculiari specialità? A cosa serviamo, se non ci viene riconosciuta (in senso pubblico-concorsuale-professionale ecc.), priorità e capacità nell’esecuzione di specifiche mansioni? Cosa serviamo se veniamo sempre e comunque dopo gli architetti, gli ingegneri ecc.?
Dateci la possibilità di acquisire una giusta dignità professionale.
Flavio · 23/10/2016 at 21:30
Buonasera, sono un giovane laureato nella classe LMR/02. Volevo chiedervi perché nel vostro lavoro di definizione delle categorie non avete operato un criterio di distinzione tra restauratore, diagnosta esperto in beni culturali e collaboratore restauratore. Sebbene, come abbiamo visto la storia di queste tre figure corre parallela, a mio parere non è stata data alcuna distinzione tra di esse. In questo caso non sarebbe opportuno creare una categoria VIII Restauratore? Vi faccio i sinceri complimenti per il vostro impegno.
Grazie in anticipo,
Cordiali saluti.
VERSO IL RICONOSCIMENTO – MI RICONOSCI? Sono un professionista dei beni culturali · 30/05/2016 at 18:02
[…] II.VII ESPERTO DI DIAGNOSTICA E TECNOLOGIA APPLICATA AI BENI CULTURALI […]
PARTE II: ALCUNE PROPOSTE, PROFESSIONE PER PROFESSIONE – MI RICONOSCI? Sono un professionista dei beni culturali · 30/05/2016 at 18:07
[…] II.VII ESPERTO DI DIAGNOSTICA E TECNOLOGIA APPLICATA AI BENI CULTURALI […]
L’ESCLUSIONE DELLA LM11 E IL FUTURO DEI DIAGNOSTI – MI RICONOSCI? Sono un professionista dei beni culturali · 21/06/2016 at 17:27
[…] e restauro, il riconoscimento effettivo della figura professionale del diagnosta, come spiegato nel nostro documento, altrimenti la rabbia continuerà a salire, e noi saremo qui ad organizzarla. Basta con le prese in […]